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lunedì 16 marzo 2015

STORIA - L'IPERINFLAZIONE DI WEIMAR E' STATA DAVVERO LA CAUSA DEL NAZISMO? O L'AUSTERITA'...

Salve gentili lettori.

In questo articolo vorrei finalmente scrivere qualcosa sulla Germania. Avevo da tempo in testa un articolo che spiegasse i passaggi storici che hanno portato la formazione di un pensiero di crescita economica attraverso l'austerità e la deflazione salariale, ma poi, per un motivo o per un altro non ho mai dedicato nulla a questo tema. E' arrivato il momento di farlo, perché ormai è entrato nella testa di tutti la nozione storica, economica e politica, che spiega le motivazioni dell'austerità tedesca derivi dall'iperinflazione subita dall'allora Repubblica di Weimar nel primo dopoguerra. Ripercorreremo storicamente il primo dopoguerra, fino alla crisi del 1929 ed all'avvento di Hitler, per poi chiudere attraverso un ragionamento sui pericoli attuali. 
Vi invito ad approfondire personalmente i temi da me toccati in questo articolo, perché essendo questo un articolo storico, dare riferimenti ad ogni informazione è superfluo. Basta un qualsiasi libro di storia delle superiori, un qualsiasi documentario che tocchi questi temi per verificare ed approfondire.

ATTENZIONE: Io stimo molto i tedeschi, questo non vuol'essere un attacco, ma una ricostruzione storica volta a mettere insieme i pezzettini del puzzle che sono stati assemblati artificialmente in modo sconnesso. Chi legge questo blog sa che non amo le idee di politica economica della Germania, ma tutto si ferma ad un'analisi personale su questi aspetti.

Immagino che l'articolo sarà lungo, ma credo che ne varrà la pena dedicare qualche minuto alla sua lettura.

Spero che l'articolo riesca a chiarire determinati dubbi. Buona lettura.


           1919 - IL TRATTATO DI VERSAILLES E LA REPUBBLICA DI WEIMAR

 Il Trattato di Versailles.

Il punto di partenza del nostro ragionamento ha come datazione iniziale il 28 giugno del 1919. Non è una data a casaccio, anzi, è una data che rimarrà storica all'interno dei libri di tutti gli studenti mondiali, perché proprio quel giorno, a Versailles si firmò un trattato composto da 440 articoli. Esso passò alla storia come il "Trattato di Versailles". La conferenza di pace di Parigi, che si svolse nei mesi tra gennaio e giugno del 1919, mise delle basi solide su una ritrovata pace mondiale, attraverso 5 diversi trattati. Noi prenderemo in considerazione esclusivamente quello stipulato a Versailles, perché esso fu dedicato alla risoluzioni delle controversie riguardanti la Germania.

Sostanzialmente il trattato, lungo i suoi 440 articoli impegnò la Germania alla restituzione dei territori dell'Alsazia e della Lorena alla Francia; la perdita a favore della Danimarca del territorio dello Schleswig settentrionale; la cessione dei territori della Pomerania, Posnania, Alta Slesia e del corridoio di Danzica alla Polonia. Quest'ultima cessione creò una grossa problematica, in quanto 2 milioni di cittadini tedeschi si ritrovarono esterni ai nuovi confini tracciati dal Trattato.
Inoltre, la Germania perse le sue colonie, che vennero divise tra tra i paesi vincitori, ed aspetto non di secondo piano, fu costretta a ridurre il suo esercito ad un massimo di 100.000 unità.

A noi, in questo specifico articolo però interessano di più le condizioni economiche del Trattato, ed esse furono molto, molto pesanti per la Germania, in quanto l'impegnò alla restituzione dei danni di guerra quantificati in 132 milioni di Marchi (quantificati in oro).
La restituzione di questo debito di guerra avvenne solo in parte, ed anzi, al contempo la Germania ottenne un oneroso aiuto da parte degli Stati Uniti al fine di risollevare la propria economia (capitale superiore al debito realmente pagato dalla Germania). Questo è un fatto molto, molto importante per il proseguo del nostro ragionamento, in quanto in questo modo le economie di Stati Uniti e Germania si unirono, ed i tedeschi diventarono dipendenti dagli aiuti americani (vedremo che questo legame si scaricherà sulla Germania dopo il giovedì nero che diede inizio alla crisi del 1929).

Oggi sappiamo che la Merkel, il 3 ottobre 2010, con l'ultimo pagamento di 70 milioni di Euro ha estinto la parte del debito realmente imputato alla Germania.

Queste condizioni di relativa pace, che poi si scoprirà assai ballerina, misero la Germania in ginocchio.

La nascita della Repubblica di Weimar.

Nello stesso anno, il 1919, nacque la Repubblica di Weimar, passata alla storia per l'iperinflazione di portata colossale e, si va dicendo nei giornali italiani, per il successivo avvento del Nazismo. Vedremo se realmente l'iperinflazione vissuta a Weimar fu il fattore scatenate del Nazismo, o se le date sono state, come dire, artificialmente ravvicinate. Ma andiamo per gradi.

Ma che cos'è la Repubblica di Weimar??
Essa, molto semplicemente è la denominazione dello Stato tedesco lungo il periodo storico che parte dal 1919, ed arriva al 1933. Essa prese il nome della città di Weimar perché essa fu la città tedesca dove si tenne l'assemblea costituente della nuova Costituzione tedesca.


                                   1920/1923 - INSOLVENZA ED IPERINFLAZIONE

Il Trattato di Versailles portò con tutto il suo contenuto durissimo, che costrinse la Germania alla restituzione dei debiti di guerra (in un tempo inizialmente molto ridotto) e dei territori conquistati nel conflitto, anche un dissapore sociale del popolo tedesco, che ora avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche per pagare un debito di guerra di portata spaventosa. Come fare per pagare dei debiti di guerra così onerosi?? Qui, per spiegarvi le politiche economiche seguite dalla Germania dobbiamo fare un piccolo richiamo al gold standard. Gold standard? Sì, proprio lui. Nulla di complicato, sia chiaro. Semplicemente il gold standard non era altro che un'unione monetaria d'estensione mondiale (USA, Giappone, GB, Germania, Francia, Italia, ecc), che fissava i cambi nazionali degli Stati membri all'oscillazione del valore dell'oro, accantonando rivalutazioni e svalutazioni tra i cambi nazionali. Una sorta di Euro primitivo, se vogliamo.
Lo svantaggio per la Germania, sommato ai debiti di guerra, era il fatto che l'adesione al gold standard costringeva ad una politica economia rigorosa che non permetteva l'espansione, in quanto essa risultava controllata dal valore dell'inflazione interna. Mi spiego meglio; qualora in uno Stato aderente al Gold Standard, si fosse verificata una crescita economica, questa sarebbe dovuta essere accompagnata da una proporzionale deflazione (aumento del potere d'acquisto della moneta).
Il Gold Standard durò fino al 1945, in quanto se pur le altre potenze si fossero staccate dal sistema dopo la crisi del 1929, gli USA continuarono a fissare il Dollaro all'oro fino alla successiva conferenza di Bretton Woods (ma questa è un'altra storia).

L'inflazione successiva alla prima guerra mondiale, dovuta alle grosse spese sostenute per la guerra, era salita fino al 28%, ma la Germania riuscì fino a 1923 ad onorare i suoi debiti di guerra, con molta fatica. Dover pagare i costi di guerra in un lasso di tempo ridotto fu un colpo di grazia per i tedeschi. Ci fu un aumento di produzione, specialmente nella zona della Ruhr, e la produzione fu destinata all'esportazione in quantità spaventosa. A pagare fu il mercato interno, chiaramente.
L'economia della Repubblica di Weimar collassò nel 1923, quando essa si dichiarò insolvente, non riuscendo più ad onorare i debiti di guerra derivanti dal Trattato di Versailles.
In risposta, il Belgio e la Francia (che portava rancore per la grande guerra) s'impossessarono della zona più produttiva della Repubblica, la zona della Ruhr controllando miniere ed imprese manifatturiere e togliendo di fatto il cuore economico ad una Germania ormai a terra.

E' in questo preciso momento storico, che cominciò a manifestarsi l'iperinflazione di Weimar. Scioperi ad oltranza colpirono la produzione, ed a pagare fu lo Stato. Dovendo pagare gli stipendi agli scioperanti, che stavano attuando una protesta che possiamo definire " di passività ", lo Stato dovette incrementare la produzione di liquidità in circolo, senza più prendere in considerazione i possedimenti d'oro (che dovevano coprire il valore della moneta circolante). Gli scioperi che seguirono durarono per otto mesi, e la produzione industriale ebbe il colpo di grazia, costringendo lo Stato a stampare ancora più moneta senza coperture reali, per importare beni che scarseggiavano. Gli stipendi, una volta ricevuti venivano immediatamente spesi, nel timore di non poter più comprare nulla di li a qualche ora.
L'immagine di 3 bambini che giocano formando una piramide con mazzi spaventosi di banconote racconta molto più di quello che io possa descrivere a parole.

Il Papiermark, la moneta della Repubblica di Weimar, subì una svalutazione incredibile passando da 4,2 Papiermark per 1 Dollaro, ad 1 milione di Papiermark per 1 Dollaro nell'agosto 1923. A novembre si arrivò addirittura a 4 200 000 000 Papiermark per ogni Dollaro.
Nel 1923 l'inflazione toccò una punta del 662%, i soldi sostanzialmente non valevano neppure per il loro valore intrinseco.

Per comprendere il valore d'inflazione che si raggiunse basta una curiosità: il taglio di Papiermark maggiore arrivò a 100 bilioni.

Il 1° dicembre del 1923 venne introdotta, in sostituzione della vecchia valuta, il Rentenmark, con un tasso di cambio con il vecchio Papiermark di 1 ad 1 000 000 000 000.


                      1923/1929 - LA RIPRESA DELLA REPUBBLICA DI WEIMAR

Il superamento del Papiermark e l'introduzione del Rentenmark fu un momento molto importante per la Repubblica di Weimar. La vecchia valuta, che ormai era nient'altro che carta, fu sostituita e la Ruhr, precedentemente occupata da Francia e Belgio fu nuovamente restituita alla Repubblica. I pagamenti del debito esistente dal Trattato di Versailles riprese nuovamente e si ritrovò una relativa intesa con la Francia.
Il governo di Stresemann riuscì a reprimere le derive autoritarie provenienti dall'estrema destra e la Germania ottenne un aiuto dagli Stati Uniti d'America, che le permise d'intraprendere una nuova ripartenza economica. Era una sorta di prolessi di quello che poi fu il  "Piano Marshall" per nel secondo dopoguerra.
Chiaramente gli Stati Uniti non fecero questo gratis. Era il famosissimo ciclo di Frenkel, che oggi conosciamo in un modo ribaltato (con la Germania ad interpretare il ruolo del centro industrializzato, ed i paesi mediterranei a fare il ruolo dei paesi periferici bisognosi di capitali per sopravvivere).
Oggi come allora, con il ruolo della Germania invertito, i capitali che arrivarono dagli Stati Uniti garantirono degli enormi profitti ai creditori americani, ed aiutarono i tedeschi a ripartire, legando la loro economia a quella americana. Il ciclo di Frenkel non ha un buon epilogo per i paesi debitori (lo vediamo oggi con la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l'Italia con l'acqua alla gola e la Germania a fare la parte dell'egemone), ed anche per i paesi creditori, a volte (in caso di improvvisi scoppi di bolle speculative). Ma questo lo scopriremo arrivando al 1929.
La Germania riprese in un sentiero che le permise di ripagare i debiti di guerra, entrò nella Società delle nazioni, e firmò un patto con Italia, USA, Giappone, Francia ed URSS che impegnava questi Stati a risolvere le controversie attraverso metodi diplomatici e non bellici.


         1929 - ARRIVA LA CRISI ECONOMICA, L'AUSTERITA' ED HITLER

Scoppia la crisi finanziaria negli USA

La morte nel 1929 di Stresemann, ruppe quell'equilibrio che pareva ormai aver stabilizzato l'economia tedesca. Ci furono negli anni seguenti diverse tornate elettorali dovute all'instabilità politica, ma specialmente, dovute alla crisi economica proveniente dal partner economico della Repubblica, gli Stati Uniti d'America.
Gli USA conobbero un grandissimo periodo economico nel primo dopoguerra. Il suo territorio non era stato colpito dal conflitto, ed il suo apparato produttivo fungeva da grande locomotiva per i paesi in ricostruzione, proprio come la Germania. Tuttavia, c'era un piccolo problema nel sistema economico americano, costituito dal sistema finanziario. Esso non aveva dei controlli, dei limiti ed una regolamentazione che impedisse o ponesse riparo alle numerose speculazioni finanziarie che alimentavano bolle speculative.
Molto semplicemente, una bolla speculativa non è nient'altro che un acquisto continuo di determinati titoli, che crea un apprezzamento esagerato di queste azioni. I profitti che ne derivano fanno gonfiare ad ogni passaggio il valore, tanto da invogliare i compratori ad acquistare l'azione non tanto per lucrare dividendi, ma per poterla rivendere poco dopo a valori più alti lucrando la differenza. Si creò così un circolo vizioso che scostò i valori reali dei titoli da quelli monetari, e la bolla speculativa esplose.
Il giovedì nero colpì l'economia americana (esattamente come successo con i subprime e lo scoppio della Lehmann Brothers nel 2008), fino a quel giorno prospera, creando disoccupazione a tal punto da rendere la produzione di beni eccessiva rispetto alla domanda degli stessi. Si era creata una crisi dal lato della domanda (esattamente quella che stiamo vivendo oggi, dove la disoccupazione sale per mancanza di domanda).
E chiaramente, la Germania che si reggeva su fortissimi capitali esteri provenienti dagli USA, che avevano finanziato la ricostruzione dell'apparato produttivo tedesco, fece sprofondare nuovamente nel baratro anche l'economia tedesca.
Con i grandi investimenti degli USA in Germania, essa stessa pagava i debiti arretrati a Gran Bretagna e Francia, le quali con questi proventi pagavano i loro debiti. Il crollo della locomotiva americana, che sosteneva questo sistema, fece saltare letteralmente tutto.

Ps. John Maynard Keynes aveva previsto tutto...

Ora vediamo come reagì la Repubblica di Weimar alla crisi del 1929.

La morte di Stresemann fece terminare la stabilità politica nella Repubblica. Ci furono numerose tornate elettorali, con l'ultimo governo di centrosinistra gestito da Mueller, che dovette dimettersi nel marzo 1930. In sostituzione, arrivò un esecutivo gestito da Heinrich Bruning. La sua personalità è fondamentale per comprendere da dove derivi l'austerità come modello di crescita economica.
Da un punto di vista macroeconomico, la crisi del 1929 colpì la Repubblica di Weimar, facendo collassare sia la produzione industriale, che passò da un livello di partenza di 100 nel 1929, ad un valore di 59 nel 1932. Anche i salari conseguentemente persero terreno, calando drasticamente di 20 punti. Ma il dato più preoccupante, ahimè, è sempre quello in ogni deriva autoritaria: LA DISOCCUPAZIONE.
Dal 1929, la disoccupazione salì fino ad arrivare nel marzo 1932 a 6 milioni.

L'Austerità del governo Bruning

Henrich Bruning era sostanzialmente privo di maggioranza parlamentare, e riusciva a reggersi al governo attraverso l'appoggio occasionale di destra e sinistra a seconda dei provvedimenti portati avanti. Ma specialmente (ed è qui che mi ricollego quando dico che è pericoloso che il governo prenda il posto del Parlamento) applicava l'articolo 48 della Costituzione della Repubblica di Weimar. Lo metto a vostra disposizione.

                                  Articolo 48 della Costituzione della Repubblica di Weimar

" Se un Land non adempie gli obblighi impostigli dalla costituzione o da una legge del Reich, il presidente può costringervelo con l’aiuto della forza armata. Il presidente può prendere le misure necessarie al ristabilimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, quando essi siano turbati o minacciati in modo rilevante, e, se necessario, intervenire con la forza armata. A tale scopo può sospendere in tutto o in parte la efficacia dei diritti fondamentali stabiliti dagli articoli 114, 115, 117, 118, 123, 124 e 153. Di tutte le misure prese ai sensi dei precedenti commi il presidente deve senza indugio dare notizia al Reichstag. Le misure stesse devono essere revocate se il Reichstag lo richieda. Nel caso di urgente necessità, il governo di un Land può adottare pel proprio territorio le misure provvisorie indicate nel secondo comma. Esse vanno revocate se lo richiedono il presidente del Reich o il Reichstag. Norme più particolari saranno date con legge del Reich. " Fonte: http://www.dircost.unito.it/cs/pdf/19190811_germaniaWeimar_ita.pdf

Sostanzialmente, Bruning, non avendo una maggioranza solida che sostenesse il suo esecutivo e che portasse avanti in Parlamento una linea aderente alle sue idee politiche, andava a superare il potere legislativo del Parlamento attraverso l'uso delle forze armate (somiglia tanto all'uso spasmodico dei decreti da parte degli governo italiano, anche se in misura soft, dato che i tempi sono cambiati).

Le idee economiche di Bruning erano esattamente le idee economiche che da decenni porta avanti la Germania: austerità, aumento della tassazione, deflazione e deflazione salariale.
Il suo scopo principale era quello di ridurre il peso del debito attraverso una politica deflattiva, che aveva i suoi pilastri nella riduzione della spesa pubblica, aumento della tassazione, riduzione dei salari e dei sussidi di disoccupazione (esattamente quello che succede oggi, ma lo vedremo in chiusura d'articolo).
Chiaramente il Parlamento rifiutò una misura economica del genere, ma attraverso l'articolo 48, egli impose queste scelte economiche attraverso un decreto presidenziale (suona tanto di questioni di fiducia a nastro, vero italiani?).
Come sappiamo oggi, dato che a colpi di austerità anche quest'anno il nostro debito pubblico è salito di 80 miliardi e la disoccupazione ha toccato il record storico ad novembre 2014 del 13,4%, l'austerità di Bruning non portò gli effetti sperati, anzi. La disoccupazione salì fino a 6 milioni nel marzo 1932, l'aumento della tassazione ed il blocco totale dei sussidi di disoccupazione attivati nel 1927, fecero precipitare le condizioni sociali delle classi più bisognose, che insorsero.
Il 30 maggio 1932, egli diede le dimissioni.


                                        L'AVVENTO DEL NAZISMO

Il resto, cari lettori è storia. Una storia triste, di dittatura estrema.

Seguì un periodo d'insicurezza politica dove Hitler, dopo aver rifiutato l'accordo con Bruning, provò ad andare al governo. Nel secondo tentativo riuscì ad arrivare al 35% dei consensi, nelle elezioni tenutasi in aprile 1932, conquistando 230 seggi ed ottenendo la maggioranza relativa.
Il 30 gennaio 1933 Hitler prestò giuramento come cancelliere del Reichstag ed alle elezioni del marzo 1933 prese il 44% dei seggi, e con un'azione di forza attraverso l'espulsione dei deputati comunisti dal Reichstag prese il controllo, emanando decreti grazie all'art.48 soppresse gli altri partiti ed altre forme di opposizione. Infine, il 24 marzo 1933 anche i partiti d'opposizione votarono le norme che trasformarono di fatto la Repubblica di Weimar in un regime dittatoriale.
Il 14 luglio 1933, il partito nazista fu l'unico partito ammesso in Germania... . Il resto è storia, e non mi va di proseguire.


                                COLLEGAMENTI CON LA SITUAZIONE ATTUALE

Non pretendo che voi mi diate ragione, del resto tanti giornalisti per tutti gli anni della crisi economica vi hanno riempito la testa con il Nazismo hitleriano provocato dall'iperinflazione di Weimar. Hitler effettivamente ci provò anche nel 1923, ma fu condannato a 5 anni di prigione (e ne scontò solo 1). La storia è un'altra. Quando attacchi i diritti dei lavoratori, i loro salari, la spesa sociale dello Stato, come fatto dopo la crisi del 1929 da Bruning, la storia insegna che le destre estreme arrivano e prendono il controllo attraverso atti vuoi di populismo becero e razzismo, vuoi attraverso la forza armata.

Non tutti percepiscono la pericolosità di questi attacchi alla democrazia a colpi di modifiche costituzionali che accentrano il potere dei governi e limitano i parlamenti (come fatto da Bruning con l'utilizzo dell'art. 48, e come fatto oggi in Italia con l'utilizzo esagerato dei decreti legge e delle questioni di fiducia) ed il potere dei cittadini di esprimere una loro preferenza.

Siamo stati convinti con la forza che i bravi siano quelli che esportano ed i cattivi siano quelli che importano.
Ma se il cattivo importatore non importasse, come farebbe il buono e virtuoso esportatore ad esportare?? La storia non sta in piedi.

In questo articolo ho provato a ripercorrere la storia, una storia che è li per darci insegnamenti. La Germania egemone che controlla l'Eurozona dall'alto grazie ai suoi crediti accumulati, perché capace di attuare deflazione salariale attraverso le riforme Hartz, attraverso i minijobs, oggi dovrebbe ricordarsi il ruolo che l'austerità che oggi impone al resto dell'Eurozona, la portò dal 1929 in poi.
I salari tedeschi non crescono quanto la loro produzione industriale, in questo modo essa riesce a controllare il potere d'acquisto all'interno dello Stato reprimendolo e destinando le merci prodotte alle economie periferiche PIIGS (verificate, specialmente nella Germania dell'Est non si vive certo come vi fanno credere i nostri giornali!).
Leggete quest'ottimo articolo del blog "Voci dalla Germania", che traduce articoli di testate tedesche http://vocidallagermania.blogspot.it/2012/04/deflazione-salariale-ja-genau.html.
I prezzi vantaggiosi delle merci tedesche reprimono la produzioni interne nei paesi periferici ed invoglia l'importazione di beni tedeschi. Il costo per noi si chiama disoccupazione e smantellamento di tutele acquisite in anni di rivendicazioni sociali (per farci credere che in questo modo si possa ripartire).
Ormai siamo mercati di sbocco per le merci tedesche, ed il ciclo di Frenkel che colpì la Germania nel 1929, oggi colpisce Grecia, Spagna, Portogallo ed anche l'Italia. L'inflazione non può, non deve salire, non tanto per la paura storica dei tedeschi in ricordo di Weimar, ma perché da creditori ci rimetterebbero finanziariamente.
E se non dovessero rientrare dai loro crediti accumulati verso i PIIGS sarebbero problemi.

L'austerità è molto pericolosa, perché comprime i diritti in nome di politiche di bilancio e risanamento fasullo. Pareggio di bilancio in costituzione, fiscal compact (che ci costringerà a pagare 1/20 del nostro debito pubblico eccedente al 60% del rapporto debito/PIL), ERF (che metterà sotto tutela di un fondo continentale la parte eccedente di debito pubblico che va oltre il 60%, facendo uscire dalla legislazione italiana questo debito), Trattato di Lisbona. Stanno giocando col fuoco.

Morale dell'articolo: a scatenare il Nazismo non fu l'iperinflazione di Weimar ma l'austerità del governo Bruning. Non capisco perché, coscienti di questo, i tedeschi continuino ad applicare queste politiche economiche d'austerità. La storia insegna...

Gli effetti dell'austerità i tedeschi li conoscono bene; loro, vincitori di tutte le paci, ma perdenti di tutti i conflitti.

Alla prossima.


sabato 14 marzo 2015

RIFORME COSTITUZIONALI - MA COS'E' LA DESTRA, COS'E' LA SINISTRA??? UNA SORPRESA CHE NON VI ASPETTERESTE MAI...

Salve gentili lettori.

In questo articolo vorrei dedicarmi nuovamente alle riforme costituzionali, ma non attraverso i metodi divulgativi che ho provato ad impostare in articoli precedenti. No! Questa volta supererò il contenuto delle riforme che andranno ad incidere sulla carta costituzionale e cercherò di prendere da un'altra prospettiva la medesima problematica. 
Sarà una prospettiva storica, di confronto parlamentare di vecchia annata. Si sa, i documenti sono li per essere rivisitati, ed allora perché non farlo???

Vi lascio comunque, per l'ennesima volta il link dell'articolo sulla riforma costituzionale (link: http://simosamatzai1993.blogspot.it/2015/02/riforme-costituzionali-il-contenuto-il.html).

Vi auguro una buona lettura.

La mancanza di un metodo parlamentare realmente democratico e rispettoso delle opposizioni è stato il percorso che ha seguito il governo Renzi durante l'iter parlamentare che ha ormai incardinato il risultato finale della riforma costituzionale. E' inutile negarlo. Un mese fa la maggioranza, nonostante la protesta che portò TUTTE le opposizioni ad abbandonare l'aula, hanno continuato a votarsi la loro riforma costituzionale, in contrasto con quelli che furono i principi della prima assemblea costituente (che vedremo nel seguente articolo).
A pagare sarà non tanto l'opposizione ed il Movimento 5 stelle, che potrà rivendicare una dura battaglia e tante aperture al dialogo proposte ma andate in fumo. Il Movimento 5 stelle esce sempre a testa alta. Ma a pagare sarà il popolo. Ma fortunatamente, grazie all'articolo 138 della carta costituzionale, che venne protetto dal Movimento 5 stelle nel 2013 dal tentativo di modifica dell'allora Governo Letta, ora potremo combattere in preparazione del referendum confermativo, e sarà li che dovremo dare il meglio di noi stessi per rivendicare le nostre posizioni.

Ma andiamo oltre.


Oggi vorrei proporvi la lettura di un intervento parlamentare molto, molto interessante, datato 20 ottobre 2005. Si era in dichiarazione di voto finale della riforma costituzionale del governo Berlusconi. Vi chiedo di leggere queste parole e di portarle avanti nel tempo di 11 anni, al 2015. Vi ho sottolineato la parte principale, dopo un passaggio introduttivo di carattere storico sull'assemblea costituente che portò all'approvazione della Costituzione italiana del 1948.

Questo è un grandissimo discorso, che avrei portato avanti anch'io.

"Signor Presidente, tra la metà del 1946 e la fine del 1947, in quest'aula, si è esaminata, predisposta ed approvata la Costituzione della Repubblica. Con l'attuale Costituzione, che vige dal 1948, l'Italia è cresciuta, nella sua democrazia anzitutto, nella sua vita civile, sociale ed economica. In quell'epoca, vi erano forti contrasti, anche in quest'aula. Nell'aprile del 1947 si era formato il primo governo attorno alla Democrazia Cristiana, con il Partito comunista e quello socialista all'opposizione. Vi erano contrasti molto forti, contrapposizioni che riguardavano la visione della società, la collocazione internazionale del nostro paese. 

Vi erano serie questioni di contrasto, un confronto acceso e polemiche molto forti. Eppure, maggioranza e opposizione, insieme, hanno approvato allora la Costituzione. 

Al banco del Governo, quando si trattava di esaminare provvedimenti ordinari o parlare di politica e di confronto tra maggioranza e opposizione, sedevano De Gasperi e i suoi ministri. Ma quando quest'aula si occupava della Costituzione, esaminandone il testo, al banco del Governo sedeva la Commissione dei 75, composta da maggioranza ed opposizione. Il Governo di allora, il Governo De Gasperi, non sedeva ai banchi del Governo, per sottolineare la distinzione tra le due dimensioni: quella del confronto tra maggioranza ed opposizione e quella che riguarda le regole della Costituzione. 

Questa lezione di un Governo e di una maggioranza che, pur nel forte contrasto che vi era, sapevano mantenere e dimostrare, anche con i gesti formali, la differenza che vi è tra la Costituzione e il confronto normale tra maggioranza ed opposizione, in questo momento, è del tutto dimenticata. 

Le istituzioni sono comuni: è questo il messaggio costante che in quell'anno e mezzo è venuto da un'Assemblea costituente attraversata - lo ripeto - da forti contrasti politici. Per quanto duro fosse questo contrasto, vi erano la convinzione e la capacità di pensare che dovessero approvare una Costituzione gli uni per gli altri, per sé e per gli altri. Questa lezione e questo esempio sono stati del tutto abbandonati. 
Oggi, voi del Governo e della maggioranza state facendo la «vostra» Costituzione. L'avete preparata e la volete approvare voi, da soli, pensando soltanto alle vostre esigenze, alle vostre opinioni e ai rapporti interni alla vostra maggioranza. 
Il Governo e la maggioranza hanno cercato accordi soltanto al loro interno, nella vicenda che ha accompagnato il formarsi di questa modifica, profonda e radicale, della Costituzione. Il Governo e la maggioranza - ripeto - hanno cercato accordi al loro interno e, ogni volta che hanno modificato il testo e trovato l'accordo tra di loro, hanno blindato tale accordo. Avete sistematicamente escluso ogni disponibilità ad esaminare le proposte dell'opposizione o anche soltanto a discutere con l'opposizione. Ciò perché non volevate rischiare di modificare gli accordi al vostro interno, i vostri difficili accordi interni. 
Il modo di procedere di questo Governo e di questa maggioranza - lo sottolineo ancora una volta - è stato il contrario di quello seguito in quest'aula, nell'Assemblea costituente, dal Governo, dalla maggioranza e dall'opposizione di allora. 
Dov'è la moderazione di questa maggioranza? Non ve n'è! Dove sono i moderati? Tranne qualche sporadica eccezione, non se ne trovano, perché la moderazione è il contrario dell'atteggiamento seguito in questa vicenda decisiva, importantissima e fondamentale, dal Governo e dalla maggioranza. 
Siete andati avanti, con questa dissennata riforma, al contrario rispetto all'esempio della Costituente, soltanto per non far cadere il Governo. Tante volte la Lega ha proclamato ed ha annunziato che avrebbe provocato la crisi e che sarebbe uscita dal Governo se questa riforma, con questa profonda modifica della Costituzione, non fosse stata approvata. 
Ebbene, questa modifica è fatta male e lo sapete anche voi. Con questa modifica dissennata avete previsto che la gran parte delle norme di questa riforma entrino in vigore nel 2011. Altre norme ancora entreranno in vigore nel 2016, ossia tra 11 anni. Per esempio, la norma che abbassa il numero dei parlamentari entrerà in vigore tra 11 anni, nel 2016! 
Sapete anche voi che è fatta male, ma state barattando la Costituzione vigente del 1948 con qualche mese in più di vita per il Governo Berlusconi. Questo è l'atteggiamento che ha contrassegnato questa vicenda. 

Ancora una volta, in questa occasione emerge la concezione che è propria di questo Governo e di questa maggioranza, secondo la quale chi vince le elezioni possiede le istituzioni, ne è il proprietario. Questo è un errore. È una concezione profondamente sbagliata. Le istituzioni sono di tutti, di chi è al Governo e di chi è all'opposizione. La cosa grave è che, questa volta, vittima di questa vostra concezione è la nostra Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-SDI-Unità Socialista - Congratulazioni)!

                                                                                        On. Sergio Mattarella

Voglio chiaramente mostrarvi la fonte in modo che verifichiate personalmente (link http://www.riforme.net/leggi/dic_voto_Camera_ottobre2005_ddl-cost.htm).

Incredibile, non è vero??? Sembra una dichiarazione di voto di un qualsiasi parlamentare del Movimento 5 stelle di pochi giorni fa, ma non è nient'altro che la dichiarazione di voto dell'allora On. Sergio Mattarella sulla riforma costituzionale portata avanti dal governo di Berlusconi. 
Modificate il cognome Berlusconi con quello di Renzi, e vedrete che il risultato non cambierà.
Oggi fa piuttosto ridere notare, alla fine dell'ottimo discorso di Mattarella, chi fu ad applaudire a termine dell'intervento. (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL- L'ulivo, dei Democratici di sinistra - L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-SDI-Unità Socialista).
Lo stesso centrosinistra, allora all'opposizione, ha portato avanti attraverso le stesse metodologie di potere dell'esecutivo e supponenza della maggioranza a discapito del dialogo con l'opposizione, una riforma che non ha nulla a che vedere con l'impostazione costituzionale uscita fuori dalla prima assemblea costituente, abilmente e chiaramente espressa dal discorso dell'oggi Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Vedete, il fatto che sia la sinistra italiana ad appoggiare una riforma costituzionale dal contenuto che farebbe rabbrividire i padri costituenti è un fatto molto, molto importante. Quando dalla parte del torto c'è la sinistra, i vecchi ideali comunisti che vivono ancora dentro i sognatori di quell'ideologia, fanno perdere il contatto con la realtà dei fatti (o forse le persone preferiscono tapparsi orecchie ed occhi più di non ammettere che la sinistra....non è più la stessa sinistra che loro videro ed ora non esiste più).
E' estremamente pericoloso questo aspetto per il referendum che dovremo preparare. Infatti, la storia ci ricorda che si andò a referendum anche nell'occasione che vi ho illustrato, e la riforma non riuscì a passare proprio perché portata avanti dal governo Berlusconi e non dalla sinistra.

E qui si apre una visione più ampia sulla riforma costituzionale in atto. Attenzione.
Il fatto sta proprio qui. Portare avanti una riforma costituzionale di questa portata, che accentra i poteri al governo, scansando i poteri parlamentari e popolari, può essere accettata dagli elettori di sinistra solo se proveniente dalla loro area. Ed il centrodestra lo sa bene, anzi, benissimo!!



Avete sentito le sue parole?

Sostanzialmente Renzi rappresenta il centrosinistra, ma porta avanti il programma del centrodestra, che non sarebbe digerito dagli elettori PD, se fosse stato portato avanti dal centrodestra!

Dai, che ve lo ricordate!! la manifestazione portata avanti dal centrosinistra in difesa dell'art.18 della legge 300 del 1970, attaccato allora governo Berlusconi. Vi rinfresco la memoria...


Wooow!! l'avevano riempito il Circo Massimo eh!!

Ma oggi che quello stesso articolo è ormai stato svuotato prima dal governo Monti (appoggiato dal PD), e poi dal governo Renzi (PD)...diciamo che va tutto bene (link: http://simosamatzai1993.blogspot.it/2014/11/abolito-larticolo-18-ti-avevamo-voluto.html  ).

Pensate che manifestazione avrebbero fatto se il governo Berlusconi avesse avallato il precariato dei lavoratori subordinati a vantaggio degli imprenditori!! ma il Jobs act l'ha progettato il governo Renzi, quindi va tutto bene (link: http://simosamatzai1993.blogspot.it/2014/12/il-jobs-act-nudo-e-crudo.html).

Lo sappiamo, la riforma costituzionale è nata appoggiata anche dal centrodestra, che ora si è tolto di mezzo votando contrariamente. In questo modo si aprono due scenari:

1) Se dovesse passare il referendum, il centrodestra sarebbe felicissimo;
2) Se non dovesse passare il referendum, il centrodestra potrà dire di aver votato contro.


Lo scenario perfetto!!




Perché stare dentro il governo quando hai il centrosinistra che si prende l'onere di portare avanti le tue stesse riforme? Le stesse identiche riforme che 10 anni fa avrebbero portato un bel po' di scompiglio, solo perché a differenza di oggi vennero portate avanti dal centrodestra, fa molto comodo!!

A proposito, vi siete mai andati a confrontare l'Italicum con la legge Acerbo del 1923?? Come no!?
Ok dai, lo sapevo, l'ho fatto io per voi... (link: http://simosamatzai1993.blogspot.it/2015/03/legge-acerbo-vs-italicum.html).

Pensate che la legge Acerbo in caso la lista non avesse raggiunto il 25% assegnava i seggi in modo proporzionale e permetteva fino a 3 preferenze. Oggi, l'Italicum ha i capilista bloccati e nominati dai partiti e se per caso non si dovesse raggiungere la soglia per ottenere il premio di maggioranza, ci sarebbe il ballottaggio. Il vincente al ballottaggio si prenderebbe il 55% dei seggi. Insomma, ho deciso che andrà così e se non dovesse andare così...andrà così lo stesso.

Ho fatto un giro piuttosto lungo e contorto in questo articolo, solo per dimostrarvi che realmente, proprio come dice Beppe Grillo, oggi destra e sinistra sono la stessa identica cosa, e portano avanti le stesse identiche idee di riforma.
Ho un grandissimo rispetto della vecchia sinistra, quella che appoggiò tra gli anni '60 e '70 l'aumento del potere d'acquisto e della possibilità d'aspirazione dei ceti bassi. Ma oggi bisogna prendere atto che c'è solo una forza politica che difende quelle stesse classi sociali. Aldilà di qualsiasi ideologia, difendere e supportare le classi sociali basse significa rispettare l'articolo 3 della Costituzione.

Mi viene in mente una vecchia canzone di Giorgio Gaber. Sì, proprio quella che stai pensando tu...


Alè Movimento 5 stelle!

Delle politiche tedesche parleremo un'altra volta...

Ora vi ho dato tutti e due i lati della medaglia....elettori, svegliatevi!!!

Alla prossima!




  

giovedì 12 marzo 2015

EURO - IL QUANTITATIVE EASING NON SERVIRA' ALL'ECONOMIA REALE.

Salve gentili lettori.

Dopo qualche giorno di stop, vorrei dedicare questo articolo al tema del Quantitative Easing, provando ad illustralo in un modo semplice e specificando le motivazioni che mi portano a pensare che questo strumento non servirà al rilancio dell'economia dei paesi mediterranei dell'eurozona.
Questa scelta di politica "monetaria" della BCE non è altro che l'ennesimo tentativo di allungare la vita dell'Euro. Ne trarrete che non sarà nulla di estremamente innovativo.

Buona lettura.

Esattamente 3 giorni fa, il 9 marzo 2015, Mario Draghi ha avviato il programma definito "Quantitative Easing", che non è altro se non un programma definito con l'obiettivo finale di comprare titoli di Stato dei paesi membri nel mercato secondario.

A guidare il sistema sarà proprio la banca centrale europea, che coordinerà le banche nazionali in questo processo svolto dalle banche centrali nazionali di ogni Stato appartenente all'Eurozona. Nello specifico, ogni banca centrale dei paesi membri, attraverso la liquidità percepita dovrà acquistare titoli di Stato emessi all'interno dello Stato d'appartenenza.
I titoli non saranno di nuova emissione statale, ma verranno comprati dalle banche commerciali aventi nel loro attivo di bilancio delle obbligazioni statali.
L'emissione di liquidità dovrebbe essere vicina ai 60 miliardi di Euro su base mensile, per un periodo fissato a scadenza settembre 2016.
La distribuzione di questa liquidità, che in totale dovrebbe aggirarsi su 1140 miliardi totali, verrà distribuita alle banche centrali attraverso un conteggio percentuale delle quote che ciascuna banca centrale nazionale detiene all'interno della BCE.
L'Italia, essendo il terzo detentore avrà una liquidità disponibile pari a 150 miliardi di Euro.

Quali sono i fini che la BCE vorrebbe raggiungere?

1) Aumentare la liquidità bancaria in modo da facilitare l'esborso di prestiti rivolti all'economia reale;
2) Controllare i tassi d'interesse sul debito pubblico;
3) Svalutare l'Euro incentivando le esportazioni;
4) Raggiungere un'inflazione pari al 2%, come da statuto.

Immaginiamoci il sistema privato nazionale, composto sostanzialmente da tre elementi: FAMIGLIE, IMPRESE E BANCHE COMMERCIALI. Siamo in un periodo dove la liquidità disponibile dai risparmi privati non trova sbocco produttivo per il semplice fatto che gli operatori privati sono incentivati da condizioni di crisi generalizzata e insicurezza, a mantenere i depositi fermi senza far girare soldi nell'economia. Questo succede anche alle banche commerciali, che fanno parte, come detto prima, del sistema privato. Oggi, è altamente improbabile trovare liquidità a buon mercato perché le banche commerciali avendo già tanti crediti pregressi da riscuotere sono restie ad offrire ancora liquidità con tutti i rischi che ne conseguono. Sostanzialmente, potremmo semplificare il meccanismo dicendo che: LE BANCHE COMMERCIALI HANNO TANTE SOFFERENZE NEL LORO ATTIVO.

Questa espressione (che ascoltai per la prima volta in un'intervista di Byoblu al prof. Bagnai) calza davvero a pennello, e dovrebbe farvi capire in modo semplificato come il problema di fondo non sia la mancanza di liquidità, ma l'incentivo ad arrecare queste risorse dei risparmiatori in modo tale da renderle produttive. Aumentare la liquidità a disposizione delle banche commerciali, sperando che questo aumenti la voglia delle stesse di concedere crediti facili è una speranza vana. 
La motivazione è semplice: molto facilmente, ci sono pochi soggetti privati che possono presentare garanzie tali da mettere in condizioni le banche commerciali di concedere in relativa sicurezza un credito.

Notate bene: l'acquisto dei titoli di Stato attraverso il Quantitative easing, come ho specificato prima, non avverrà nel mercato primario, ma in quello secondario. Cosa significa?
In realtà è molto semplice, perché è una mera sostituzione di attivo bancario. Se una banca commerciale X ha nel suo attivo titoli di Stato per un valore Y, questo valore Y verrà espresso in liquidità monetaria anziché essere espressa in titoli di Stato (che sono un investimento). Nel bilancio delle banche commerciali entrerà liquidità ed usciranno titoli di Stato per uno stesso valore.

Purtroppo all'economia reale andrà ben poco. In Italia una percentuale molto bassa di titoli di Stato è in mano alle famiglia (circa il 13%), mentre il resto è in mano alle banche (con predominanza di banche interne alla legislazione italiana, per fortuna). I soldi che riceveranno le banche, per le motivazioni d'incertezza economica che abbiamo valutato in precedenza, non verranno destinati alle imprese, ma verranno nuovamente inseriti nella finanza, col rischio d'alimentare nuove bolle speculative. 
E lo sappiamo che, alla fine dei giochi, quando la bolla speculativa scoppia, a pagare è sempre pantalone, ovvero l'economia reale.

Sostanzialmente, la BCE stamperà soldi e comprerà titoli di Stato nel mercato secondario, ovvero quelli posseduti dalle banche commerciali nel loro bilancio. Una volta ricevuta questa liquidità, le banche commerciali, visto l'incertezza generalizzata dell'economia reale, investiranno in finanza. I soldi all'economia reale saranno le piccole gocce che cadranno qua e la per compassione.
La crescita avviene solo attraverso investimenti nell'economia reale. Il resto è speculazione al rialzo che alimenta bolle fino a far implodere il sistema. Capito???

Il fatto che stampando moneta in modo massiccio si vada a creare inflazione tale da uscire da un periodo di deflazione non è totalmente vero. L'inflazione è un valore che non è unificato nell'eurozona, perché ogni paese aderente all'Euro ha un suo indice percentuale d'inflazione. L'inflazione varia anche in base ad altri parametri, non solo alla massa monetaria in circolo.
Anzi, in un momento di economia bloccata, la moneta non circola, non viene spesa per comprare beni, la domanda non sale ed i prezzi non subiscono un rialzo proprio perché l'offerta riesce ampiamente a soddisfare la domanda (fin troppo, dato che siamo al 12,7% di disoccupazione, purtroppo).

L'inflazione è quella che non vuole la Germania, perché essendo creditrice vedrebbe svalutarsi in termini reali il suo credito, e questo sarebbe un vantaggio per i paesi debitori. Ma come vi ho spiegato, l'emissione di moneta non è l'unico parametro che fa salire il tasso d'inflazione....ne servono altri che oggi non ci sono.

Anzi, paradossalmente il Q.E. aiuterà proprio la Germania, perché la Germania non riesce a piazzare tutti i titoli di Stato alle aste, avendo rendimenti negativi. Questo succede perché la Germania sta tagliando il ramo sulla quale è seduta (esportazioni nei paesi PIIGS attraverso la repressione dei salari reali interni), e quindi il suoi BUND non sono più percepiti come bene rifugio sicuro. Il pericolo che il ramo si rompa ed i paesi periferici dell'eurozona smettano di essere il mercato di sbocco tedesco è ampio.

Ultimo appunto...

Vi ricordate L.T.R.O.? Era una sorta di Quantitative easing che mise in circolo 1000 miliardi di Euro negli anni appena precedenti....ma gli effetti sull'economia reale si sono visti?? Io non ricordo...
E' un film già visto. 

Alla prossima!

venerdì 6 marzo 2015

LEGGE ACERBO vs ITALICUM.

Salve gentili lettori.

Lo so e ne sono consapevole, il titolo del presente articolo è piuttosto forte, ma illudendoci d'essere ancora all'interno di una vera democrazia partecipata ci stanno togliendo fette di sovranità in nome del " ce lo chiede l'Europa ", ed allora ho ritenuto giusto provare ad impostare un ragionamento che vada a confrontare due leggi elettorali molto lontane storicamente tra di loro, ed apparentemente lontanissime come fine ultimo del loro concepimento, ma che in realtà, purtroppo, non sono lontane nella sostanza. Non sono per nulla lontane sostanzialmente, semplicemente perché pur essendo state concepite in periodi storici differenti, porteranno allo stesso risultato politico, ovvero il conseguimento la maggioranza a tutti i costi.
Come avrete capito leggendo il titolo, quest'articolo sarà completamente dedicato ad un confronto tra la legge Acerbo del 1923 e, l'Italicum, la legge elettorale che sarà approvata a breve in Parlamento.

Rispetto a quello che non avrei potuto fare nel periodo storico che stiamo per ripercorrere, avrò solo l'illusoria possibilità d'esporre il mio pensiero ed il mio personale giudizio. 

Buona lettura.

Partirei in ordine cronologico, dalla legge Acerbo del 1923, non prima d'aver fatto un piccolo riquadro che ci faccia rapidamente comprendere il periodo storico all'interno della quale ragioneremo.

Il Fascismo s'impose all'interno della crisi dello Stato d'impostazione liberale. Esso fu fondato da Benito Mussolini a Milano, nel marzo del 1919. Fu una partenza piuttosto lenta, nascosta, in sordina, in quanto alla prima riunione dei Fasci di combattimento parteciparono poche centinaia di persone. Alle elezioni politiche del novembre 1919, presero appena 4000 voti, non prendendo nessun seggio e non riuscendo, conseguentemente, ad entrare in Parlamento.
Appena due anni dopo, nel 1921, nacque il partito fascista, con oltre 200.000 iscritti, ed il suo programma cominciò ad intraprendere la strada di una soppressione del poteri parlamentari. Cominciò qui un percorso di ampliamento, radicamento territoriale e di organizzazione di una vera e propria milizia fascista. Nell'ottobre 1922, attraverso la " marcia su Roma " i fascisti, non ostacolati a dovere dal Re Vittorio Emanuele III, riuscirono ad entrare nella capitale (era, precisamente il 28 ottobre 1922). La resa di Vittorio Emanuele III spalancò le porte al primo governo Mussolini, che il 30 ottobre 1922 fu convocato a Roma, ricevendo dal Re l'incarico di formare il governo. Una maggioranza non troppo solida, che faceva comunque traballare Mussolini, fino al 1923, anno dell'approvazione della nuova legge elettorale, la legge Acerbo.

Questo quadro storico, era doveroso per comprendere il periodo storico in cui fu votata la legge della quale parleremo.



                                       LA LEGGE ACERBO (1923)

Confrontata alla legge elettorale allora in vigore, la legge Acerbo creava un collegio unico per tutta la nazione, suddiviso attraverso 6 diverse circoscrizioni.
Si passò da un sistema proporzionale, adottato dal 1919, ad un sistema maggioritario, dove ogni lista candidata aveva la possibilità di presentare una lista pari ai 2/3 dei seggi parlamentari.
Un altro aspetto controverso era il premio di maggioranza spropositato (ah si, sempre lui) che garantiva alla lista vincitrice che avesse ottenuto almeno il 25% dei voti, i 2/3 del parlamento attraverso l'attribuzione di 356 seggi su un totale di 535 disponibili. Per quanto riguarda i restanti seggi, ovvero 179, essi sarebbero stati attribuiti attraverso un sistema proporzionale.
Cosa molto, molto importante, per il confronto con l'Italicum, è il fatto che se nessuna lista avesse raggiunto il tetto massimo del 25%, i seggi sarebbero stati distribuiti attraverso un sistema PROPORZIONALE. Altro fattore importante da un punto di vista storico, fu l'abbassamento dai 30 ai 25 anni dell'elettorato.
La logica sulla quale poggiava la legge Acerbo era esattamente quella sulla quale poggia l'Italicum, ovvero la governabilità a tutti i costi. Il fine era quello di premiare la maggioranza di governo e come se non bastasse, spezzettare abilmente l'opposizione in modo da rendere difficile un'opposizione forte alla maggioranza.

Con il senno di poi che la storia ci ha lasciato, sappiamo che il partito fascista non si presentò in solitaria a quelle elezioni politiche, ma all'interno di un cosiddetto " LISTONE ", composto da fascisti, nazionalisti, liberali e cattolici. Il listone vinse ampiamente con il 64,9% dei consensi, ed attribuendo al partito fascista ben 275 deputati, all'interno di una maggioranza di 374 deputati.

Il resto della storia, purtroppo, la conosciamo ampiamente.

Il testo di legge Acerbo completo è presente all'interno di questo link http://storia.camera.it/img-repo/ods/2013/06/25/CD1710000014.pdf .


                                               L'ITALICUM

Ora possiamo passare all'analisi dell'Italicum, così come da noi conosciuto fino ad ora, sperando che possa migliorare prima dell'approvazione definitiva (speranza vana).

Siamo in un contesto sociale e politico dove, nella nostra repubblica è in corso una legislatura eletta attraverso una legge dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale. Questo Parlamento ha espresso la maggioranza di due governi non nominati tenendo conto dei voti della maggioranza dei votanti. Una legislatura che segue quella precedente, finita con il governo tecnico di Monti, anch'esso (il governo) supportato da una maggioranza eletta attraverso il Porcellum. Siamo alle comiche.
Le riforme che sono uscite fuori dal governo Monti hanno attaccato la Costituzione, inserendo all'interno d'essa il pareggio di bilancio strutturale, richiesta che non era obbligatoriamente da soddisfare, in quanto nel Fiscal Compact non c'era l'obbligo ma la semplice preferenza verso un inserimento diretto in Costituzione. La beffa sta nel fatto che solo l'Italia abbia realmente inserito una tale follia in Costituzione. Ed ora, attraverso l'Italicum, si sta andando a spianare la strada verso un attacco completo dell'istituzione parlamentare a vantaggio della governabilità ad ogni costo.
Il "ce lo chiede l'Europa" è lo strumento giusto, la scusa perfetta, per un attacco ai diritti dei lavoratori (vedi attacco all'articolo 18 e deregolamentazione del mercato del lavoro attraverso il Jobs act).

In questo contesto storico-sociale, sta per essere approvata una nuova legge elettorale, che supererà il Consultellum, ovvero la legge elettorale uscita dalla Consulta, che è andata a togliere i vizi d'incostituzionalità del Porcellum.

Secondo l'Italicum, se una lista dovesse arrivare al 40% dei consensi, avrebbe il 55% dei seggi, con un premio di maggioranza del 15%, che le darebbe il 55% dei seggi; mentre, se nessuna delle liste candidate riuscisse ad arrivare al 40% dei consensi, si andrebbe al ballottaggio tra le prime due liste, ed alla lista vincitrice al ballottaggio verrebbero comunque garantiti il 55% dei seggi.
Nella sostanza, l'Italicum prevede la presenza di 100 collegi. Da ognuno di questi collegi verranno eletti 6 candidati; il 70% dei candidati sarebbero nominati dai partiti, con il vincitore che si prenderebbe il 55% dei seggi, nominando dall'alto 2 deputati e lasciandone eleggere dal popolo 1; mentre al contrario, per le liste perdenti verrebbero nominati 3 deputati, uno per ogni lista perdente.
Insomma, in sostanza se l'Italicum passasse avremmo 5 deputati nominati dai partiti su un totale di 6, per ogni collegio (ed il deputato eletto dalla cittadinanza sarebbe solo un rappresentante del partito vincitore).

Ora facciamo un esempio pratico d'applicazione dell'Italicum. In un elezione il 50% degli aventi diritto si reca alle urne; il partito A prende il 25%, il partito B il 20%, il partito C il 10% ed il partito D il 5%. Nessuno ha raggiunto la soglia del 40% e quindi nessuno dei partiti candidatisi prende il premio di maggioranza. Il partito A ed il partito B vanno al ballottaggio, dove il vincente tra i due si prenderà il 55% dei seggi. Quindi, sostanzialmente, supponendo il partito A come vincitore, esso avendo preso il 25% del 50%, si prenderà il 55% del totale dei seggi disponibili nel Parlamento, pur rappresentando realmente l'8% degli aventi diritto al voto.


                                              CONFRONTIAMOLE

Ora, dopo aver illustrato la sostanza delle due leggi elettorali, possiamo confrontare i punti che le avvicinano e quelli che le distinguono.


PREMIO DI MAGGIORANZA

Legge Acerbo: per la legge Acerbo il premio di maggioranza, ovvero l'assegnazione dei 2/3 dei seggi parlamentari alla lista vincitrice scattava nel momento in cui una delle liste candidate alle politiche, fosse riuscita a raggiungere il 25% dei consensi. Qualora nessuna delle liste candidate avesse raggiunto la soglia del 25%, nessuna lista avrebbe preso il premio di maggioranza, ed i seggi sarebbero stati assegnati sulla base di un criterio PROPORZIONALE.

Italicum: per l'Italicum il premio di maggioranza, ovvero l'assegnazione del 55% dei seggi parlamentari alla lista vincitrice, scatterebbe nel momento in cui una delle liste candidate alle politiche, riuscisse a raggiungere il 40% dei consensi. Qualora nessuna delle liste candidate riuscisse a raggiungere la soglia del 40%, si andrebbe al ballottaggio tra le due liste principali, ed alla vincente si assegnerebbero il 55% dei seggi.

Si nota, da questo confronto come l'Italicum mostri ancor più la sua necessità di incidere nel voto popolare al fine di indirizzare, se necessario anche attraverso ballottaggio, la maggioranza dei seggi ad una lista, superando i criteri di proporzionalità. Quindi governabilità a tutti i costi, ma ancor di più per l'Italicum, la legge della grande democrazia (APPARENTE).


PREFERENZE

Legge Acerbo: per la legge Acerbo era possibile inserire fino a tre preferenze indicando i candidati della lista votata.

Italicum: per l'Italicum è possibile inserire la preferenza, tuttavia vi sono inseriti già in partenza dei capilista che, qualora la lista riuscisse a superare lo sbarramento ed ottenere seggi parlamentari, inseriranno in primis il candidato nominato dal partito. Questo crea una disparità tra i votanti dei partiti grandi ed i partiti piccoli; il perché è molto semplice: se per gli elettori dei partiti grandi sarà comunque possibile eleggere attraverso preferenza 1 candidato per collegio, per gli elettori del partiti perdenti vi saranno come rappresentanti parlamentari esclusivamente nominati dall'alto dal partito stesso.

Ed anche in questo caso, la Legge Acerbo si è dimostrata molto più aperta dell'Italicum al voto popolare.


ATTRIBUZIONE DEI SEGGI 

Legge Acerbo: grazie ad accordi elettorali interni alla coalizione, Mussolini riuscì a portare in Parlamento ben 275 parlamentari su una maggioranza di 356 seggi.

Italicum: la lista concorre a comporre il 40% necessario al raggiungimento della soglia necessaria per il premio di maggioranza del 15%, e il premio verrebbe assegnato al partito vincitore. Nel caso in cui nessuna lista partecipante raggiungesse il 40%, al ballottaggio andrebbero i due partiti con più consensi.

In confronto la legge Acerbo parrebbe concepita dalla Caritas, sinceramente.

                                                  ALTRE RIFLESSIONI

Gli squilibri di incostituzionalità non possono essere oggetto di confronto tra le due leggi elettorali, in quanto la Costituzione è successiva all'approvazione della legge Acerbo, in quanto entrata in vigore (la Costituzione) solo nel 1948. Possiamo però analizzare quelli che potrebbero essere i limiti costituzionali dell'Italicum, che poi sono gli stessi del Porcellum, grosso modo.

Il primo passo verso l'incostituzionalità, proprio come avvenuto col Porcellum, è un premio di maggioranza spropositato (che poi avrebbe colpito anche la legge Acerbo). Addio rappresentatività della cittadinanza in Parlamento, in nome della stabilità dell'esecutivo (senza considerare che i votanti si sono ridotti ormai al 50% degli aventi diritto). Capite che, in questo modo, la legge elettorale diventi solo una norma atta a ridistribuire i seggi, perdendo il concetto base di democrazia, e quindi di rappresentanza popolare che abbiamo analizzato in precedenza.
Inoltre, l'Italicum sarebbe già di per se incostituzionale, perché presuppone che le modifiche costituzionali proposte dal governo Renzi vadano a completo compimento. Si parla esclusivamente di'una legge elettorale valida per le elezioni dei membri della Camera dei deputati, mentre il Senato della Repubblica si tralascia, sperando che la modifica del titolo V della Costituzione vada a compimento, trasformandolo in una Senato delle autonomie, con composizione formata da sindaci e presidenti di regione nominati che andrebbero a ricoprire il ruolo di senatori, in un Senato privato delle sue funzioni.
Inoltre si è andato ad aggirare la sentenza della Corte costituzionale anche sulle preferenze, con la presenza, proprio come nel Porcellum, delle liste bloccate, suddividendo il listone classico, in tante piccole " sottoliste ", dove il capolista viene bloccato e quindi, sostanzialmente nominato, mentre per i restanti componenti, ci si affiderà all'elezione. Dove sta il trucco di questa apertura?
Semplicissimo! se in un collegio che esprime 6 seggi (e quindi dal quale usciranno 6 futuri deputati), ci sono 6 liste, i 6 seggi verranno tutti nominati, perché verranno presi dai 6 capilista. Preferenze solo di facciata quindi... . Mi spiego meglio.
Ci sarà una disparità di trattamento tra gli elettori delle liste principali e delle liste minori, perché in caso di raggiungimento del 40% la lista vincitrice si prenderà il premio di maggioranza fino a salire al 55% dei seggi, e questo creerà una disparità di trattamento tra gli elettori. Mi spiego meglio, questo succederà perché in un collegio ci sarà più di uno eletto per la lista vincitrice, e questo permetterà all'elettore della lista vincitrice di eleggere un deputato (oltre al capolista nominato), cosa che non avverrà per tutti gli altri elettori delle altre liste perdenti, che vedranno entrare in Parlamento esclusivamente il componente capolista, che è un nominato.
Questo è incostituzionale, perché va contro l'articolo 3 della Costituzione, che parla di principio di uguaglianza formale e sostanziale, e qui mancherebbe l'uguaglianza di trattamento tra gli elettori di liste differenti.


                MA CHE FINE DEVE PREFISSARSI UNA LEGGE ELETTORALE EQUA?

In entrambe le leggi esposte, si perde il concetto di rappresentanza. Infatti, il concetto di democrazia presuppone la rappresentanza di tutta la cittadinanza, non solo di chi si sente rappresentato da una specifica lista.
Bisogna abbandonare l'idea di legge elettorale come teorema matematico atto alla distribuzione di poltrone tra i partiti. La legge elettorale è un concetto evidentemente matematico legato indissolubilmente al significato di rappresentanza della cittadinanza.

Per rappresentanza s'intente riuscire, in base ad una legge elettorale ben strutturata ed ai risultati elettorali, a formare un CAMPIONE dove tutti i cittadini trovino un proprio rappresentante all'interno dell'istituzione.

Rappresentanza popolare in Parlamento = democrazia. E la si raggiunge solo attraverso un sistema proporzionale, che vada ad equilibrare i voti espressi, trasformandoli in seggi elettorali.
Qualsiasi espressione maggioritaria perde il fine primario di una legge elettorale democratica, per entrare nel concetto di " STABILITA' DELL'ESECUTIVO A TUTTI I COSTI ".

Dobbiamo sempre ricordarci che all'interno dei tre poteri di una democrazia ve ne sono 2  ben distinti che si ricollegano al ragionamento che stiamo portando avanti: potere LEGISLATIVO e potere ESECUTIVO.

Il potere legislativo è detenuto dal Parlamento, eletto a suffragio universale dalla popolazione attraverso delle elezioni regolamentate dalla legge elettorale in vigore. Il Parlamento rappresenta la popolazione per una durata classica di 5 anni (legislatura), ed ha la funzione di confrontarsi, proporre e votare delle migliorie all'impianto legislativo della nostra Repubblica.
Ad eseguire il volere del Parlamento c'è il governo, nominato dal Presidente della Repubblica, che entra in carica solo dopo aver ricevuto la fiducia da entrambi i rami del Parlamento.

Al governo è quindi fornito il potere di dar esecuzione all'impianto legislativo della Repubblica, con specifica attenzione per le norme via via approvate dal Parlamento, ed esso resta in carica fino a quando la maggioranza del Parlamento lo ritiene opportuno.
Il governo è quindi uno strumento del Parlamento.


Se si supera questo concetto primario di democrazia parlamentare, si rischia d'entrare nel regime, sia esso espresso con la forza, sia esso espresso con le ghirlande, slide, fiori e bacini come quello attuale. La democrazia apparente, anzi, è ancora più pericolosa.

Alla prossima!






giovedì 5 marzo 2015

M5S - IL FUNZIONAMENTO DEL #MICROCREDITOA5STELLE.

Salve gentili lettori.

L'articolo di oggi, ho deciso di dedicarlo totalmente ad un tema che il Movimento 5 stelle porta avanti
dall'inizio della legislatura, come un cavallo di battaglia da portare a compimento il prima possibile. Finalmente, oggi, 5 marzo 2015 possiamo parlare del funzionamento del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, dove i parlamentari del Movimento 5 stelle hanno versato le eccedenze degli stipendi percepiti in questi due anni, fino a raggiungere una quota di 10 milioni di Euro.
Vedremo il funzionamento, le finalità, le modalità d'accesso a questo fondo ed i servizi che il Movimento 5 stelle offre al fine di facilitare la procedura per gli imprenditori.

Buona lettura!!


Ricorderete sicuramente la lotta del Movimento 5 stelle per poter uscire dal MISE con un IBAN specifico dove versare le eccedenze degli stipendi percepiti all'interno del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, già esistente. Non vi ricordate? Vi farò funzionare nuovamente la memoria con questo semplice video.



Fu una lotta non da poco, perché la prima restituzione, proprio per mancanza di questo IBAN dovette essere destinata non al fondo PMI ma al fondo d'ammortamento sul debito pubblico (uno spreco, diciamocelo).

Ora passiamo al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.

Questo fondo, è bene specificarlo, non è di proprietà dal Movimento 5 stelle, come si potrebbe erroneamente pensare. Chiariamo bene la situazione.

Il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese fu istituito da una legge del 1996 (governo Prodi I), precisamente attraverso la legge 662 del 1996 http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/DPS/scheda_sintesi_GuidaFondoDigaranzia.pdf. Esso è operativo dal 2000 ed è quindi, un fondo statale gestito per la precisione da un comitato di gestione facente capo al MISE (Ministero dello Sviluppo Economico). Qualora vogliate precisazioni ancora più dettagliate, cliccate su questo link diretto al sito del MISE (link http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/?option=com_content&view=article&viewType=1&id=2016453).

Il suo funzionamento favorisce la possibilità delle piccole e medie imprese d'accedere a risorse finanziarie (e quindi di liquidità) atte al finanziamento d'imprese già avviate oppure al finanziamento l'avvio di progetti imprenditoriali nuovi.
Semplicemente, questo fondo fu configurato con il compito di fungere da garanzia statale, in modo da facilitare il rilascio di liquidità da parte delle banche che in caso fossero rimaste insoddisfatte dal soggetto finanziato, avrebbero potuto utilizzare questo fondo a copertura.
La copertura statale è la maggior garanzia possibile per una banca, che difficilmente potrebbe rifiutare una tutela di un fondo statale.
Qualora non ci fosse questo fondo, imprenditori già avviati che avessero bisogno di finanziamenti per ulteriori investimenti d'impresa, dovrebbero rivolgersi alle finanziarie o alle banche, con il rischio di dover porre ipoteca su beni reali, o nella peggiore delle ipotesi, di veder del tutto respinta la domanda stessa, dovendo accantonare il progetto.

Esso riuscirà a finanziare, esclusivamente tenendo conto dei 10 milioni versati dai parlamentari m5s, un'impresa al giorno per i prossimi 10 anni. Il meccanismo si basa sull'effetto leva, che permetterà immediatamente di finanziare con i 10 milioni di Euro del m5s, più i restanti in dotazione (si arriva in totale a 40 milioni di Euro), circa 2000 imprese. Queste 2000 imprese, dal terzo mese successivo al ricevimento del finanziamento cominceranno a restituire il finanziamento a rate, su un periodo decennale (con interessi bassissimi), continuando a finanziare nuovamente il fondo. Questo effetto rotazione crea un effetto leva tale da fornire altri 8 milioni al fondo; per ogni Euro riversato dalle imprese, il fondo sarà in grado di garantire 20 nuovi Euro diretti a garanzia delle imprese.

Ora proverò a sintetizzarlo in poche righe a sintetizzare in poche righe tutto quello che bisogna sapere per cominciare a pensare di far domanda d'accesso al fondo. Spero d'essere esaustivo.

Possono accedere al suddetto fondo tutti i soggetti che vogliano intraprendere una nuova attività imprenditoriale ed i soggetti che abbiano già un'attività avviata da meno di 5 anni. Le tipologie d'imprese ammesse sono le microimprese con un massimo di 5 dipendenti, le società a responsabilità limitata semplificata, le cooperative fino a 10 dipendenti, lavoratori autonomi o liberi professionisti.
Si tratta di un fondo di micro credito, quindi i fondi erogati hanno tetti di capitale non esagerati, che arrivano in alcuni casi a toccare un massimo di 35 mila Euro, ma generalmente si stabilizzano su un tetto di 25 mila Euro.
Le aziende che possono arrivare ad ottenere 35 mila Euro, senza garanzie reali (come funzionamento del fondo vuole), sono le aziende già esistenti, o nuovi progetti imprenditoriali legati a settori quali: agricoltura, commercio, artigianato e servizi.

Il Movimento 5 stelle entra nel discorso in quanto ha deciso di finanziare questo fondo con le eccedenze degli stipendi percepiti in questi due anni, versandole all'interno di esso. Inoltre, sempre il Movimento 5 stelle offre aiuti alle imprese dal punto di vista burocratico, in quanto non è facile compilare tutta la documentazione tale da potersi recare in banca senza nessuna scusante che impedisca l'accesso al fondo. A questo fine, il m5s ha trovato un accordo con dei consulenti (1 per ogni provincia) che si sono prestati a fornire un aiuto agli imprenditori che ne avessero bisogno (cercate il consulente del lavoro più vicino a voi su http://www.beppegrillo.it/movimento/parlamento/microcredito/.

Per accedere al fondo, quindi, basta recarsi presso la sede del consulente del lavoro indicato nella propria provincia, con un piano d'impresa o con un'idea imprenditoriale percorribile, ed il consulente seguirà passo passo il procedimento spiegandovi le modalità adatte per ottenere il finanziamento.
In caso l'azienda sia già esistente, l'imprenditore dovrà portare con se per l'incontro col consulente una visura camerale, ed i documenti d'impresa, quali bilanci, atto costitutivo e statuto.
Per accedere al fondo è necessario non essere iscritto negli elenchi di cattivi pagatori.

Come specificato dal vicepresidente Luigi Di Maio, in caso di resistenza da parte degli istituti bancari nel concedervi il finanziamento, potrete richiedere direttamente segnalarlo al m5s attraverso un' e-mail specifica, ed esso prenderà in carico la risoluzione della questione, attraverso un'assistenza con un sistema di feedback.

Ecco un breve video di #Microcredito5stelle.


Per ulteriori chiarimenti sul tema, visitate il sito http://www.beppegrillo.it/movimento/parlamento/microcredito/, dove troverete specifiche maggiori e dettagli preziosi.

Alla prossima!

mercoledì 4 marzo 2015

M5S - CHIARIMENTI SUL VOTO RIGUARDANTE LA RESPONSABILITA' CIVILE DEI MAGISTRATI.

Salve gentili lettori.

Questo articolo avrà un tema specifico, riguardante la responsabilità civile dei magistrati, collegata al voto parlamentare sul provvedimento del governo.

Ho letto che c'è stata un po' di confusione sul fatto che il Movimento 5 stelle abbia votato in modo differente nei due rami del Parlamento, quindi cercherò di chiarire le dinamiche che hanno portato a questa scelta, proponendovi le parole del deputato Andrea Colletti.

Buona lettura.

Partiamo nel nostro ragionamento attraverso l'analisi delle possibilità che c'erano all'interno di questo procedimento. Nella valutazione del provvedimento arrivato al Senato, c'era da scegliere una posizione netta tra due diverse possibilità, diametralmente opposte tra di loro: da una parte c'era la possibilità d'incardinare il provvedimento verso la responsabilità diretta dei magistrati, e dall'altra la possibilità di indirizzarlo verso la responsabilità indiretta dei magistrati. Vediamo le differenze.

Quando si parla di responsabilità diretta dei magistrati si parla di una responsabilità di un componente di un corpo dello Stato (la magistratura) che avrebbe rischiato di perdere ogni tutela rispetto alle sue decisioni giurisprudenziali. Immaginate un magistrato che in un determinato processo prenda una decisione che va a dare ragione ad una determinata parte piuttosto che un'altra. La parte processuale evidentemente colpita negativamente dalla sentenza del giudice, qualora ritenesse errata la sentenza del magistrato, avrebbe la " facoltà " di citarlo civilmente in giudizio.

Quando invece si parla di responsabilità indiretta dei magistrati, si parla di una responsabilità di un componente di un corpo dello Stato, che non potrebbe immediatamente essere citato in giudizio dalla parte offesa all'interno del processo, perché il magistrato, essendo protetto dallo Stato non verrebbe immediatamente colpito personalmente. La parte offesa all'interno del processo avrebbe la facoltà di citare in giudizio lo Stato, che qualora venissero a crearsi le condizioni andrebbe a pagare un risarcimento monetario all'altra parte. Successivamente, lo Stato, qualora lo ritenga opportuno in base agli elementi processuali, potrebbe rivalersi sul magistrato stesso.

Personalmente, per il lavoro svolto dal magistrato, piuttosto importante, responsabilizzato e di tutela verso il diritto, trovarsi di fronte ad una responsabilità diretta verso la sua persona, avrebbe portato al rischio di sentenze giurisprudenziali a rischio di condizionamento psicologico in base alla forza delle parti in causa (vedi presenza di banche, assicurazioni) che in caso di sentenza non conforme con le loro posizioni, avrebbero la possibilità di citare civilmente il magistrato. Non credo che questa sia la strada giusta.

Adesso valutiamo le scelte parlamentari sulle votazioni.

Valutando il voto al Senato, il MoVimento 5 stelle ha concesso una sorta di credito alla maggioranza, votando a favore del provvedimento incardinato sulla responsabilità indiretta dei magistrati. Questo perché il rischio di trovarsi incontro ad una maggioranza piuttosto fumosa, avrebbe portato al pericolo di un voto favorevole rispetto alla responsabilità diretta dei magistrati.
Un pericolo assolutamente rischioso e che fortunatamente è stato superato con il voto favorevole dei senatori m5s, nonostante non si condividesse in toto il testo normativo in votazione.
Sostanzialmente è stata un'apertura di credito con la speranza di un miglioramento della norma una volta giunta alla Camera dei deputati.

Alla Camera dei deputati, il voto al contrario, è stato in opposizione alla maggioranza.
Credo che, ascoltare le parole di Andrea Colletti sia il modo giusto per cominciare un ragionamento (video integrato a 5 giorni a 5 stelle).


Sostanzialmente le parole di Colletti sono molto chiare. Nel diritto le parole non sono un mero componente generico, ma debbono essere interpretate per arrivare ad una sentenza. La generalità esagerata della locuzione inserita nel testo normativo " costituisce colpa grave il travisamento dei fatti e delle prove " porta ad un rischio di eccessiva indeterminatezza e, conseguentemente, ad eccessive possibilità interpretative della norma citata. Essa risulta una locuzione generica, che si presta a diverse interpretazioni, e questo porterebbe a diverse cause, in quanto non si circoscrive ad oggetto specifico la colpa grave.

Per questi motivi, il Movimento 5 stelle ha scelto un voto opposto rispetto a quello espresso in Senato, perché il testo normativo apre a diverse interpretazioni e crea il rischio di numerose cause civili verso lo Stato, e successivamente a numerose rivalse dello stesso verso i magistrati. La chiarezza nel diritto è la base principale dal quale partire.

Le interpretazioni dei fatti e delle prove che portano ad una sentenza possono essere differenti in base alla soggettività di vedute riguardanti i fatti e gli atti processuali. Per quanto riguarda le interpretazioni normative possono aprirsi due diversi criteri d'interpretazione. Vediamoli.

- CRITERIO LETTERALE: che specifica che le norme vanno interpretate secondo il comune significato che le parole hanno nella lingua italiana. Questo criterio sarebbe la corsia preferenziale, tuttavia se la norma si presta a più interpretazioni, esso non può essere applicato, e si deve far affidamento sui vari criteri logici.

- CRITERIO LOGICO: che specifica che sulle varie interpretazioni aperte attraverso l'analisi del criterio letterale, si dovrà prendere in considerazione solo quello che meglio corrisponde all'intenzione del legislatore. Esistono diversi criteri logici, che si differenziano tra criteri logici soggettivi ed oggettivi.

Soggettivi:

Criterio logico psicologico: esso si basa sull'analisi dei lavori preparatori (discussioni dei lavori parlamentari che hanno portato all'approvazione della norma);

Oggettivi:

Criterio logico teleologico: esso si basa sullo scopo che la norma vuole andare a risolvere;
Criterio logico sistematico: esso tiene conto di altre norme giuridiche collegate alla norma che si deve andare ad interpretare;
Criterio logico storico: esso si basa sul confronto tra la norma interpretata e le norme precedentemente in vigore riguardanti la stessa materia della norma interpretata.

Ricapitolando, più una norma, un fatto, un atto si aprono ad interpretazioni plurime, più c'è il rischio di trovare sentenze dove, non avendo certezza del diritto, si sentenzia in modo meno oggettivo di quello che si potrebbe fare con norme chiare ed a interpretazioni il più oggettive possibili.

Alla prossima!

lunedì 2 marzo 2015

L'ANDAMENTO STORICO DEL DEBITO PUBBLICO ITALIANO DAL 1940 AD OGGI.

Salve gentili lettori.

In questo articolo vorrei trattare un tema che sicuramente già conoscerete nelle sue forme generali, ma che collegato ad aspetti storici italiani ed internazionali potrà fornirvi una visione d'insieme sull'argomento.
Il tema che tratterò in questo articolo sarà la storia del debito pubblico italiano.

Questo è un tema ripreso più volte per associare l'ammontare del debito, specialmente nel suo rapporto con il PIL, con la crisi economica che stiamo ancora attraversando. Ritengo che sia importante parlare di questo tema, perché è proprio attraverso di esso che potremo capire dove stia la verità sul suo legame reale con la crisi economica in atto nei paesi dell'Europa mediterranea.
Nello specifico, verificheremo la storia del debito pubblico italiano lungo il suo percorso cronologico che va dal 1940 al 2015 e vedremo quali tipi di fattori hanno inciso nella sua impennata.

Ma siamo davvero sicuri che la crisi nella quale ci troviamo dipenda dall'ammontare del debito pubblico?
Proviamo a darci una risposta specifica sul debito pubblico (approfondirò le motivazioni reali della crisi economica in un altro articolo.

Vi auguro una buona lettura.


Comincerei immediatamente col mostrarvi un grafico dell'andamento storico riguardante il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo. Insomma, il famoso debito/PIL, che ci servirà come guida verso i nostri ragionamenti storici. 



Ritengo che questo grafico sia il più indicativo, perché riesce immediatamente a mostrare i periodi nella quale in rapporto s'impenna ed i periodi nella quale, al contrario, il rapporto s'abbassa, senza eccessive difficoltà d'analisi.

                                                               Gli anni '60

Nel 1960, come apprendiamo dal grafico, il rapporto debito/PIL era inferiore al 40%, e si attestava esattamente sul limite del 36,86%.
Il livello del rapporto, negli anni immediatamente successivi toccò limiti addirittura inferiori, arrivando fino al minimo del 32,53 nel 1963.
L'andamento al ribasso del rapporto che stiamo prendendo in considerazione non era nuovo, al contrario, mostrava una tendenza ribassista ormai consolidata derivante dagli anni appena successivi alla seconda guerra mondiale. Dopo aver toccato un massimo del 107,94% nel 1943, il rapporto scese pesantemente negli anni immediatamente successivi (1944, 1945, 1946 in cui arrivò al 40%).
Erano gli anni del dopoguerra, della ricostruzione, ed un'Italia pressoché agricola, si apprestava a costruire il miracolo economico degli anni successivi.
Dal 1940 al 1970, il rapporto debito/PIL della nostra repubblica aumentò pochissimo, restando pressoché stabile intorno al 40%.

Storicamente gli anni '60 furono molto importanti per la nuova classe operaia del boom economico, la quota salari (della quale parlerò in un prossimo articolo) cresceva grazie alle pressioni dei sindacati e su questa scia anche il partito comunista salì di consensi.
Il 1968 fu l'anno delle lotte studentesche, dovute proprio al nuovo tenore di vita che permetteva anche alle classi operaie d'acculturarsi e poter ambire a posizioni più alte nella scala sociale.
In questo periodo le lotte proletarie investirono tutta l'Europa, e su questa spinta anche la nuova classe operaia italiana si accodò. Queste lotte proletarie, portarono nel maggio 1969 alla pensione sociale erogata dall'INPS (testo di legge: http://www.inps.it/NormativaExInpdap/30-04-1969-L153.pdf) e continuarono nei mesi successivi con ulteriori rivendicazioni, per il periodo ormai ribattezzato " Autunno caldo ". Scioperi ad oltranza, specie nel nord Italia, cuore del miracolo industriale.

                                                           Gli anni '70

Gli anni '70 furono un periodo piuttosto burrascoso per alcuni fattori che incisero pesantemente sul debito pubblico. Il rapporto debito/PIL salì rapidamente fino al 1974, portandosi sul 60% per poi stabilizzarsi lungo il decennio.
I fattori che dobbiamo prendere in considerazione nella valutazione di questo periodo sono diversi: le lotte sindacali, specialmente quelle prese in eredità dal 1969; lo scioglimento del sistema di Bretton Woods del 1971; lo shock petrolifero piuttosto pesante del 1973, e la recessione del 1975. Andiamo con ordine.

Le lotte sindacali e le rivendicazioni operaie derivate dal decennio precedente, portarono i lavoratori ad ottenere un'ulteriore impatto crescente sulla quota salari, che toccò il massimo storico nel 1975. Su questa scia di rivincita tra salari e profitti, il partito comunista arrivò ad ottenere consensi fino al 34% nel 1976 (ed è anche per quelle lotte che oggi, l'ideologia vecchia e fiera viene travasata in un contenitore PD, che non ha più nulla a che fare con certi ideali).
Gli anni '70, come vi ho anticipato furono un decennio piuttosto movimentato nelle tematiche internazionali: nel 1971, crollò il sistema di Bretton Woods, che manteneva i cambi nazionali fissati ad un valore fisso col dollaro, dal crollo che ne scaturì le valute cominciarono a fluttuare nel mercati, rivalutandosi o svalutandosi.
Il 1973 fu l'anno dello shock petrolifero, che portò il prezzo del greggio grossomodo a quadruplicarsi. Uno shock semplicemente dovuto a tematiche di politica estera, ma che colpirono l'economia, facendo alzare contestualmente i prezzi dell'energia, e quindi i prezzi dei beni. Difesi dalla quota salari in aumento, e grazie alla scala mobile il potere d'acquisto rimaneva comunque pressoché inalterato.
Per questi motivi, arrivò una recessione economica, che ci colpì nel 1975, e costrinse sostanzialmente lo Stato italiano a svalutare per recuperare competitività su scala internazionale; obiettivo raggiunto, perché nel 1976 l'economia italiana tornò a crescere pesantemente.

Voglio lasciare da parte rispetto a questo ragionamento l'adesione allo SME del 1979, del quale ho parlato in articoli precedenti.

                                                            Gli anni '80

Nel mentre, nel nostro ragionamento storico, l'Italia, nel 1980 aveva raggiunto un rapporto debito/PIL del 56,86%. Un debito assolutamente sostenibile, addirittura inferiore ai parametri di quello che sarebbe stato ribattezzato " Il trattato di Maastricht ", che imponeva un rapporto non superiore al 60%. Era un rapporto piuttosto sballato, senza fondamento economico, e lo scopriremo andando avanti nel ragionamento.
Il 1980 è l'anno dove l'inflazione toccò un massimo che oggi, austeri come siamo, ci spaventerebbe assai; eh si, l'inflazione era oltre il 21%, eppure non si andava a fare la spesa con la carriola (io non ero ancora nato, ma ho chiesto conferme ai miei genitori...). Non ero ancora nato, e proprio per questo mi sono preso la briga di verificare la ricchezza italiana di quel periodo. Nonostante un'inflazione che oggi definiremmo da terzo mondo, in media ogni italiano riusciva a conservare il 25% del suo salario, dopo aver fatto fronte a tutte le spese (chiaramente è una media, la disoccupazione era al 7%, quasi 7 punti meno del 2014...). Conservare il 25% del salario, in media, significava essere la nazione con il maggior risparmio privato del mondo, che sia chiaro. Insomma, in Italia si stava BENE, ma non avevamo fatto i conti con quello che sarebbe successo dal 1981 in poi.

Il 1981 fu l'anno del DIVORZIO (articolo specifico: http://simosamatzai1993.blogspot.it/2015/01/1981-divorzio-tra-tesoro-e-banca.html) tra ministero del Tesoro e la Banca D'Italia. Se fino a quel momento la Banca d'Italia era costretta a comprare l'eccedenza dei titoli di Stato emessi, che non erano stati piazzati nell'asta, ora con una semplice circolare, le veniva data facoltà d'esimersi da questo compito.
Questo chiaramente ha avuto ripercussioni pesanti sui tassi d'interesse, che schizzarono in alto per essere più allettanti per gli investitori. Le imprese trovavano più redditizio investire in titoli di Stato i loro ricavi, anziché investirli nuovamente nell'impresa. Si stima che il 50% dei profitti venissero investiti in titoli di Stato, che davano un rendimento alto e sicuro.
L'inflazione scese, e questo era l'obiettivo di questa scelta (che poi divenne obbligatoria con il trattato di Maastricht del 1993), ma la disoccupazione cominciò a salire, fino a toccare la punta massima del decennio nel 1989, al 9,7% ( quasi 3 punti in più del 1980).

In questo contesto storico, il rapporto debito/PIL, nell'arco di questo decennio, come si può vedere molto bene dal grafico, si è letteralmente impennato, perdendo qualsiasi controllo, in nome della bassa inflazione. Esso ha sfiorato il 100%, attestandosi nel 1989 al 93,06% del PIL.

                                                          Gli anni '90

Sulla scia degli anni '80, che videro un'impennata decisiva del nostro rapporto debito/PIL, anche gli anni '90 furono sicuramente un decennio molto, molto movimentato.
Sostanzialmente furono importanti nello scacchiere della costruzione dell'Euro, mentre per quanto riguarda il tema debito pubblico, noteremo due periodi differenziati lungo i 10 anni.

Il rapporto debito/PIL continuava a salire, come si può facilmente notare dal grafico (quello sul rapporto debito/PIL), e nel 1992 arrivò ad una soglia del 105,20%, superando la soglia del 100% del PIL, soglia che negli anni '80 veniva vista come una soglia impossibile da superare, pena clamorosi armagheddon statali.

Il 1992 fu l'anno dell'uscita dell'Italia dello SME, della svalutazione e della ripresa successiva del 1993, 1994 e 1995. Un periodo nella quale l'Italia tornò in surplus di bilancia dei pagamenti nei confronti della Germania (grafico affiancato).

La spesa pubblica per far riprendere a girare l'economia ebbe sicuramente un suo impatto sull'aumento del rapporto debito/PIL che arrivò, nel 1995, ad una soglia del 121,55%.
La prima parte degli anni '90 videro un aumento graduale e costante del rapporto, che tuttavia si fermò a partire dal 1996, ed intraprese un percorso di decrescita lieve ma costante, toccando nel 1999 il livello di 113,70%.

Storicamente gli anni '90 furono un decennio di costruzione di una nuova unione monetaria, dopo il fallimento dello SME. E' da notare come dal 1997, anno dell'accordo Prodi - Kohl, la bilancia dei pagamenti tra Italia e Germania, nonostante ci vedesse ancora in surplus, cominci una fase di appiattimento, per poi andare in deficit dal decennio successivo, deficit dalla quale non siamo più risaliti.  L'accordo per l'entrata nell'Euro aveva represso la possibilità di spesa pubblica degli Stati, in modo da presentarsi pronti all'appuntamento dell'Euro. E' da notare come i parametri di Maastricht (60% del rapporto debito/PIL e 3% di deficit massimo annuale) non furono presi in considerazione per l'entrata dell'Italia nell'Euro, ma neppure della Grecia. A fare proprio i puntigliosi, neppure la Germania sarebbe stata dentro quei parametri, dato che nel momento d'entrata in vigore dell'Euro 1999, il suo rapporto debito/PIL era al 61%.

                                                      Il nuovo millennio

Il nuovo millennio è un periodo, esattamente come gli anni '90, che mostra due facce: una dove il rapporto debito/PIL continuava il suo percorso di lieve ma continua decrescita, ed un secondo scenario dal 2008 in poi, che ha visto una nuova esplosione dello stesso, dovuto alla crisi economica del 2008.

Vi aggiungo un grafico, che al contrario di quello iniziale, vi mostra anche l'andamento del rapporto deficit/PIL negli anni successivi allo scoppio della crisi economica. Fonte: http://goofynomics.blogspot.com


Dal grafico possiamo notare due cose:

1) come vi avevo anticipato precedentemente, il rapporto stava scendendo nei primi anni del nuovo millennio, al contrario di quello che viene continuamente detto. Questo ci fa capire che lo scoppio della crisi anche in Italia non dipendeva dal debito pubblico (ma poi vedremo un altro grafico che chiarirà ancora di più la situazione). 
Fino al 2007 il rapporto è costantemente sceso, con un'unica eccezione nel biennio 2005-2006 dove nel complesso salì di 3 punti percentuali (dal 103 al 106) per poi riequilibrarsi sul livello del 2004 nel 2007, esattamente al 103,28%. Un livello accettabile, che riportò l'Italia ai livelli del 1992.

2) Il secondo periodo però, è quello successivo allo scoppio della crisi economica, che si presentò in Italia già dal 2008, con una recessione del 1,16%, per poi scoppiare nel 2009 con un tonfo pesantissimo del 5,5%. Un tonfo pesante, alla quale lo Stato dovette chiaramente rispondere aumentando la spesa pubblica andando a compensare gli squilibri, ed ecco qui i motivi di un aumento del rapporto.
La recessione continua e le misure d'austerità che ne sono susseguite, hanno portato non ad un miglioramento della finanza pubblica, ma ad un continuo peggioramento del rapporto debito/PIL, che oggi è al 132,8%.

Ma è chiaro, perché quando per uscire dalla recessione, imponi politiche di taglio alla spesa pubblica (che dovrebbe in realtà crescere, ma esser convogliata in settori migliori per essere più produttiva) ed a questo aggiungi tagli settoriali lineari, non fai che togliere risorse al settore privato, che oltre questo deve coprire ulteriori buchi dovuti all'aumento delle imposte (da qui al 2018 aumenteranno di altri 72 miliardi secondo confcommercio (fonte: http://www.adnkronos.com/soldi/economia/2015/02/25/fisco-confcommercio-rischio-aumento-tasse-mld-tra_69SwOhWix7y1VWtJ30vGFK.html).

L'avevo detto in tempo di legge di stabilità, proprio perché questo fu segnalato dai parlamentari m5s (link: http://simosamatzai1993.blogspot.it/2014/10/renzi-aumentera-liva-per-tre-anni.html )
Questa è l'austerità: la recessione continua, e le finanze pubbliche continuano a peggiorare. Solo nel 2014 il deficit è stato del 3% ed in termini reali di debito pubblico è salito di altri 80 miliardi.

                                                          ...un ultimo appunto

In chiusura voglio mostrarvi un grafico generale, non solo italiano, ma di tutta l'Eurozona che conta, che vi darà un'immediata visione della decrescita o della crescita del rapporto debito/PIL dal 2000 al 2005. Fonte: http://goofynomics.blogspot.com



Questa era la tendenza dei debiti pubblici nazionali... . Quello della Germania cresceva dopo le spese per la riforma Hartz, quello dell'Italia, dell'Irlanda, della Spagna, della Grecia scendeva. Da notare come quello del Portogallo stesse crescendo.
Oggi in crisi ci sono gli Stati nella quale il debito stava scendendo, ma anche il Portogallo, che andava in controtendenza! il fattore da verificare, quindi, non è quello del debito pubblico, ma è quello del debito privato.....ma questa, è un'altra puntata!

Alla prossima!