Translate

venerdì 31 luglio 2015

ECONOMIA - LE BASI DELLA DECRESCITA FELICE.

Salve gentili lettori.

In questo articolo vorrei trattare un tema a me molto caro: la decrescita felice.
Sono venuto a conoscenza di quest'idea economica di visione verso il futuro grazie al movimento 5 stelle, perché una buona parte delle idee interne alla Carta di Firenze del 2009, per istituire una base portante nei programmi delle liste civiche del Movimento 5 stelle, ha al suo interno idee prestate dalla logica della decrescita felice.
Proverò a semplificare i concetti che sono racchiusi all'interno di questo modo di concepire l'economia, in modo da facilitare la comprensione di una visione differente ed il più possibile circolare. Vedremo, nello specifico, la differenza formale e sostanziale tra decrescita e recessione; due fenomeni che hanno qualcosa in comune, ma che hanno radici completamente opposte nel loro sviluppo iniziale.

Buona lettura.

La decrescita felice è un concetto economico e di vita, portato avanti in Italia dal movimento per la decrescita felice, gestito da Maurizio Pallante. Spesso, ragionando sul nome stesso dell'idea economica, si traggono conclusioni affrettate, o del tutto sbagliate. I media ci hanno portato a credere che tutto ciò che sia una diminuzione di un qualcosa sia da visualizzare in modo negativo, ma non è così. La decrescita di un qualcosa porta alla conoscenza delle persone solo un fattore di carattere
quantitativo, che nulla ha a che fare con aspetti qualitativi. Per comprendere la bontà o meno del dato analizzato bisogna aggiungere al dato quantitativo (decrescita) un fattore qualitativo.
Es. Una decrescita dei malati di tumore è un fattore positivo per la collettività; la decrescita dell'occupazione è un fattore negativo per la società. 
Ecco che, dall'associazione di un fattore quantitativo con un fattore qualitativo, possiamo trarre le conclusioni sulla bontà o meno del dato analizzato.
Il significato positivo della parola crescita, ed evidentemente negativo della parola decrescita, deriva dall'ambito economico, in quanto siamo convinti nel sistema capitalista che una crescita del P.I.L. porti benefici in termini di benessere, di ricchezza, di aumento dei beni e dei servizi.
Ma il P.I.L. non può misurare realmente il benessere o il malessere in termini di crescita o decrescita, semplicemente per il fatto che esso è un parametro esclusivamente monetario. Esso prende quindi in considerazione solo i beni ed i servizi che vengono scambiati attraverso lo strumento del denaro.


Ora dobbiamo fare una distinzione tra termini che vengono confusi tra di loro: merci e beni.

MERCI ---> Le merci sono gli oggetti ed i servizi scambiati attraverso lo strumento esclusivamente monetario;
BENI  ---> I beni sono gli oggetti ed i servizi che soddisfano un bisogno e rispondono ad un determinato desiderio.

Da questa classificazione scopriamo che non tutte le merci sono beni, perché non tutte le merci soddisfano bisogni e rispondono a specifici desideri. Il più classico esempio di merce che non risulta essere un bene sono tutti gli sprechi (cibo che si butta, oggetti vari che si buttano, ecc...).
Scopriamo quindi che le merci, a differenza dei beni risultano essere dei problemi perché una volta arrivate al termine del loro ciclo d'utilizzo, vanno smaltite.
Un altro esempio di merci sono gli sprechi per il riscaldamento delle abitazioni. In Italia in media si consuma annualmente un quantità di gasolio pari a 20 litri o di metano pari a 20 metri cubi al metro quadro all'anno, mentre in Alto Adige solo 7 ed in Germania dal 1,5 ai 7 (nel peggiore dei casi). Tutta la differenza tra il metano realmente utilizzato per il riscaldamento e quello disperso per inefficienze varie dell'abitazione non sono un bene (perché non soddisfano un bisogno), ma sono una merce, uno
spreco.

La decrescita può misurare un miglioramento del benessere generale? Sì!

Il cibo che si butta crea un valore del P.I.L pari al 3% di esso. Se si azzerasse avremmo una diminuzione del P.I.L. del 3%, ma non ci sarebbe nessun peggioramento del benessere, anzi, ci sarebbe un miglioramento in quanto ci sarebbero meno rifiuti da smaltire.
Più medicine compriamo, più scambi monetari vengono registrati, più il P.I.L. cresce...e teoricamente più stiamo bene (se è vero che il P.I.L. misura il benessere di una società), ma sapete bene che questa è una grandissima falsità.
Quando a diminuire sono i beni si crea un malessere, perché mancano le condizioni per soddisfare i nostri bisogni, ma se a diminuire sono le merci (come vuole la teoria economica della decrescita felice) si creerebbe una diminuzione del P.I.L, ma non una diminuzione del benessere, perché si creerebbe una diminuzione degli sprechi, un efficientamento. Questo andrebbe a creare effetti positivi all'ambiente.

Esistono 3 tipi di differenze tra merci e beni, vediamole.

1) Ci sono merci che non sono beni: tutti gli sprechi, perché non concorrono alla soddisfazione di un bisogno pur essendo state acquistate ed utilizzate. Sono gli sprechi.
2) Ci sono beni che non sono merci, perché non vengono scambiate attraverso il denaro: sono i beni auto prodotti. Attraverso l'orto personale, per esempio si coltiva un orto personale e si sfruttano i beni fruttiferi per benessere personale: sono beni perché soddisfano bisogni personali, ma non sono merci, perché non vengono scambiati con denaro;
3) Ci sono dei beni che possiamo ottenere esclusivamente nella versione di merce: pc, tv, frigorifero, visite specialistiche, ecc. Tuttavia possiamo impostare una decrescita anche in questo caso, costruendo queste merci in modo tale da ampliare il loro ciclo di utilizzo e costruendoli in modo tale da poter recuperare le componenti per un futuro riutilizzo.

                                                        DECRESCITA E RECESSIONE

E' molto interessante analizzare i concetti di decrescita e di recessione, perché spesso si scontrano o si scambiano i significati erroneamente. Il significato di recessione, che stiamo tra l'altro vivendo da qualche anno è molto più facile da comprendere. La recessione è la diminuzione generalizzata ed incontrollata di tutta la produzione di merci, che si attiva da un fattore scatenante e che colpisce a catena tutti i settori dell'economia limitandoli.
Il concetto di decrescita invece è un concetto controllato. Per decrescita s'intende la diminuzione selettiva dell'utilizzo e quindi della produzione di merci, volontaria e dovuta a fattori che portano benefici di altro carattere alla società (ambientali, relazionali), senza colpire il benessere delle persone (l'abbiamo visto specificando la differenza tra merci e beni).

Essa può essere applicata su diversi campi, anche e soprattutto a livello di piccole comunità, come possono essere i comuni medio piccoli.

In un prossimo articolo, proverò a tracciare delle proposte che seguano la via della decrescita felice, partendo dall'acqua, energia, ambiente, rifiuti.

Alla prossima!

mercoledì 15 luglio 2015

UE - L'ILLUSIONE TSIPRAS, IL CONCORDATO, L'AUSTERITY E L'EGEMONIA TEDESCA ANTIDEMOCRATICA.

Salve gentili lettori.

Sapete, dopo gli ultimi fatti che hanno contraddistinto la resa di Alexis Tsipras ai comandi dei creditori della Troika, mi sono posto alcune domande ed ho cercato di darmi delle risposte. Sono profondamente amareggiato perché ho provato ad immedesimarmi nel popolo greco, che con il voto alle politiche di qualche mese fa, aveva sperato di aderire ad un progetto che li portasse fuori dall'austerity. Mesi di trattative a vuoto avevano fatto sperare, finalmente, in un atto di coerenza politica e programmatica da parte di un rappresentante del popolo, ed io ci ho voluto credere fino all'ultimo. L'indizione di questo referendum mi aveva entusiasmato proprio perché, essendo un amante della democrazia diretta, avevo visto in esso un'opportunità di riscatto dei popoli sovrani, nei confronti del sistema bancario e finanziario che vigila sulla democrazia europea. Il voto fantastico e coraggiosissimo del popolo greco, addirittura contro lo status quo, aveva alimentato ancora di più la mia euforia. Quando mai un premier, dopo aver indetto un referendum di una portata mediatica spaventosa a sostegno del ripudio all'austerity, avrebbe osato tradire il proprio popolo?? Impossibile, mi ero detto. Questa possibilità non aveva nessuna logica fondata.

Avevo, d'altro canto tante avvisaglie su una possibile grexit:
1) La liquidità d'emergenza offerta dalla B.C.E. agli istituti greci, nonostante il decreto che aveva limitato la possibilità di prelievo a 60 Euro giornalieri, stava ormai arrivando a termine (88 miliardi sugli 89 a disposizione);
2) La B.C.E. non era disposta a fornirne ancora;
3) Schauble, ministro delle finanze tedesco, aveva chiuso ad una ristrutturazione del debito greco, facendosi forza con l'impossibilità di questa strada mostrata dai trattati;
4) La Merkel aveva chiuso a qualsiasi possibilità di concordato, in caso avesse vinto il NO;
5) Tsipras, di conseguenza al NO, non avrebbe potuto presentare un piano contenente nuova austerità, perché sarebbe andato contro il voto referendario espresso dal suo popolo;
6) I contatti con la Russia, mi avevano fatto pensare ad un'uscita dall'Euro prossima, con aiuti provenienti dai BRICS in cambio dell'uscita della Grecia dalla N.A.T.O. e del controllo di alcuni porti strategici del Mediterraneo.

Tutti questi punti sommati tra di loro, mi avevano dato un grosso sostegno nel credere che alla fine, la GREXIT sarebbe stata inevitabile. Mi sbagliavo.
Le dimissioni del ministro delle finanze, Yanis Varoufakis, mi avrebbero dovuto far accendere il campanellino, ma le sue dichiarazioni successive alle dimissioni non mi avevano allarmato, per il semplice fatto che egli stesso avesse sostenuto che esse fossero evidentemente funzionali al raggiungimento dell'obiettivo, in quanto la sua presenza non fosse ben vista dai creditori. Insomma, si era fatto da parte per aiutare Tsipras a raggiungere lo scopo finale.

Purtroppo tutti questi ragionamenti, fondatissimi se pensati in modo razionale in collegamento l'uno all'altro, erano sono fumo negli occhi. Le dimissioni di Varoufakis erano dovute ad una diversa metodologia tattica per arrivare allo scopo, tattica non appoggiata da Tsipras.
A conti fatti, Tsipras ha proposto esattamente quello che i creditori avrebbero voluto leggere; sostanzialmente la sua proposta risultava speculare (a parte qualche piccola modifica), all'ultima proposta di Juncker prima del referendum, datata 26 giugno scorso.

I punti principali sono questi:
1) Privatizzazioni selvagge (porti, energia elettrica, gas, aeroporti);
2) Aumento progressivo dell'avanzo primario nei prossimi tre anni;
3) Aumento dell'IVA (23% per ristoranti e alberghi, a differenza del 13% in vigore);
4) Aumento della tassazione d'impresa dal 26% al 28%;
5) Ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro, ancora più dura delle limitazioni ai diritti dei lavoratori arrivate con il governo tecnico post 2012;
6) Cancellazione degli aiuti alle isole greche, tranne alcune isolette sperdute;
7) Innalzamento dell'età pensionabile da 63 a 67 anni, in modo progressivo;
8) Aumento del prelievo ai pensionati dal 4% al 6%;
9) Tagli alla difesa.

Il tutto si svolgerà molto velocemente. Le agevolazioni fiscali alle isole greche dovranno avere un termine massimo fissato all'inizio del 2016; oltre all'aumento della tassazione del reddito d'impresa, verranno azzerati gli aiuti agli agricoltori vigenti tramite agevolazioni fiscali; le pensioni dovranno avere un evoluzione tendente al rialzo, per arrivare al 2022 con il limite fissato a 67 anni; tagli ai salari della pubblica amministrazione, commisurandoli alla produttività; tagli alla difesa progressivi in due anni, 100 milioni di Euro nel 2015 e 200 milioni di Euro nel 2016

Una proposta irrinunciabile per i creditori, direte voi. Mmm, quasi. Oltre queste manovre che di umano hanno pochissimo ed a cui vanno sommate le condizioni nella quale si trova la Grecia attuale, i creditori hanno voluto altre certezze. A fronte di un nuovo credito di 80 miliardi circa, il governo greco si è impegnato ad inserire in un fondo fiduciario (a protezione del prestito) beni pubblici (REALI) per 52 miliardi di Euro. Questo fondo non verrà gestito dal governo greco, ma dalla Troika, tramite la nomina di alcuni esperti.
Si tratta di beni pubblici di valore inestimabile, non solo da un punto di vista finanziario, ma culturale e storico, che verranno messi a protezione di un credito. Essi fungeranno da pegno.
Un gran numero di riforme andranno approvate in...due giorni.
Tutto questo in uno Stato, la Grecia, con disoccupazione giovanile al 55%.

La bellissima Europa, piccola da un punto di vista geografico, ma fondamentale per gli equilibri geopolitici, bellissima per la possibilità di unire tantissime culture differenti, ha fallito. I presupposti dell'UE erano basati sulla cooperazione tra gli Stati, in modo da limitare i pericoli per Stati strutturalmente non grandissimi.
Invece non è così: ci ritroviamo in un'UE comandata a bacchetta dalle esigenze di un'unica nazione, la Germania, che impone politiche restrittive che limitano le potenzialità economiche degli Stati interni ed i diritti dei loro cittadini, a vantaggio di una politica economica che produce oltretutto squilibri. Oltre il danno la beffa.
DEMOCRAZIA VENDESI...
L'UE si sta togliendo la maschera, e se siete restii ad ammetterlo, il tempo vi aiuterà a capirlo.

Comunque sia, aldilà del risultato, la sconfitta della Merkel è comunque visibile dentro i confini tedeschi. Fuori ragioniamo in un altro modo, vediamo meglio quello che succede in Europa e valutiamo molto più facilmente l'egemonia economica imposta dalla Germania. Ma all'interno della Germania, i cittadini lavoratori sono stati plagiati da una propaganda che ha promosso l'immagine tedesca come locomotiva europea, mentre gli altri Stati in crisi vengono visti come vampiri pronti a succhiare il sangue prodotto con tanta fatica e sudore dai lavoratori germanici. Ora, l'ottenimento per la Grecia di altri 80 miliardi di Euro, farà infuriare i lavoratori tedeschi "vittime plagiate" del sistema propagandistico eurista. Approfondiremo questa tematica.

La delusione più grossa risulta essere Tsipras, che avevo elogiato per aver rimesso al popolo la decisione sull'austerity, salvo poi calpestare la democrazia diretta da egli stesso promossa. Se non è alto tradimento questo, allora definitemi l'alto tradimento perché mi sfugge il significato, evidentemente.

Approfondirò le condizioni economiche della Germania e dell'UE nel prossimo articolo.

Alla prossima.

giovedì 9 luglio 2015

CINA - CROLLO PER LA BORSA CINESE. QUALI CONSEGUENZE POTREBBE AVERE?

Salve gentili lettori.

Mentre giustamente tutta l'Europa (e non solo) resta concentrata sulla tematica economica e geopolitica che vede al centro lo scontro tra la Grecia ed i creditori della Troika, dall'altra parte del mondo, in Cina, si stanno verificando una serie di eventi finanziari pericolosi qualora essi si protraessero nel tempo. Il rischio di trovarci di fronte all'ennesima bolla speculativa contagiosa per le economie mondiali per adesso non è realmente calcolabile, però i dati che ci troviamo di fronte andrebbero quantomeno analizzati.
Troviamo nelle ultime ore specialmente, un terrorismo informativo incredibile, che accomuna il referendum greco, con il crollo della borsa europea (che tra l'altro oggi si è ripresa, specie Milano).
Dovete sapere che il debito pubblico greco supera i 330 miliardi di Euro, di cui 240 dovuti alla Troika. Gli speculatori di borsa sapeva perfettamente che ci sarebbe stata una problematica pre e post referendum e si sono già protetti da tempo dai possibili rischi. Sappiate quindi che le conseguenze dei fatti greci sono minimizzati da questo punto di vista. Un casino apocalittico per 1,6 miliardi di Euro di rata dovuta dalla Grecia al fondo monetario internazionale, e non una parola sulla situazione che da settimane sta colpendo la borsa cinese.
Il fatto incredibile, è che nelle ultime settimane la borsa cinese ha bruciato l'equivalente di 2300 miliardi di Euro. 2300.....non 1,6... .
Ora, siamo realistici; credete che il problema dell'incertezza della borsa sia la Grecia, o la Cina?? Mmm, io non avrei dubbi, sinceramente.

La borsa di Shanghai ha perso l'8% in 24 ore e più del 25% calcolando un periodo mensile.

La notizia ha preso un po' di sorpresa tutti, ma in realtà questa situazione di pericoloso stallo al ribasso si sta protraendo nel tempo, ed aveva dato i primi segnali allarmanti già a maggio 2015.
Stiamo parlando di uno Stato dall'importanza economica e finanziaria basilare per l'intera economia mondiale, avente un debito pubblico in percentuale sul P.I.L irrisorio (inferiore al 20%), ma con un debito privato che, sempre in percentuale sul P.I.L. cresce a dismisura. Esso è aumentato in poco più di 7 anni di 57 punti di P.I.L. arrivando al 155% nel 2014.
Oggi più di 500 titoli cinesi hanno subito un blocco forzato, dovuto allo sforamento del limite massimo di perdita giornaliera (10%). Essi vanno a sommarsi ai precedenti 800, arrivando a 1300 titoli bloccati, circa il 50% dei titoli principe della borsa cinese. In tre mesi il crollo si è assestato intorno al 30%.

L'effetto ribassista ha colpito diversi indici asiatici, compreso Nikkei giapponese, che oggi ha perso il 3,1%, Taiwan -3%, Sydney -2% ed Hong Kong, che ha subito il peggior calo dal 2008 (-8,6% di picco massimo, con una chiusura a -5,8%)), ovvero dal crack della Lehman Brothers. 

Da un punto di vista macroeconomico, lo scoppio eventuale di una bolla cinese è vista dagli esperti in modo dubbio, in quanto nutrono speranza di immediata stabilità dovuta alla relativa gioventù del mercato cinese. Tuttavia se ciò non dovesse accadere, lo scoppio di una bolla cinese avrebbe gravissime ripercussioni economiche in tutti i principali paesi partner del colosso asiatico.
La Cina è la locomotiva trainate, che con i suoi surplus commerciali alimenta l'export sostenendo il mercato, Italia compresa.
La realtà dura e cruda ci dice che non è possibile prevedere le modalità attraverso cui una bolla scoppierà, ne il momento in cui succederà.

Che cos'è in parole povere una bolla speculativa? Semplicemente è una condizione del mercato finanziario che porta gli operatori di borsa ad investire al rialzo o al ribasso non perché si crede che quel determinato asset sia vantaggioso nel medio periodo, ma perché si pensa che tutti gli altri compratori o venditori pensino che lo sia, e conseguentemente si comportino in quella determinata maniera. Questo porta a speculare su specifici titoli, al rialzo o al ribasso con l'obiettivo di comprare in un momento di minimo e vendere in un momento di massimo lucrando la differenza. Questo comportamento si protrae nel mercato per diverso tempo, continuando a gonfiare il valore dei titoli in modo illogico ed irrazionale, fino all'esplosione, che ripristina i regolari valori di mercato.
Nel momento in cui si scatena il panico e la borsa va giù pesantemente, in modo altrettanto illogico si vende seguendo il mercato ribassista, perché si pensa che di li a poco il valore sprofonderà ancora di più.

Il pericolo per l'economia reale è che la bolla si sgonfi pesantemente, facendo perdere alla Cina la posizione predominante nell'economia mondiale, che la porta ad essere il traino. Se questo accadesse, le esportazioni verso la Cina diminuirebbero e conseguentemente ci sarebbe una minore domanda estera, quindi minor bisogno di produzione.
Dall'altra parte i beni cinesi aumenterebbero di prezzo perché l'esplosione della bolla farebbe diminuire l'offerta cinese, e tutti i beni importati aventi materiale di produzione o manodopera cinese, risulterebbero più onerosi per gli altri paesi importatori.

Dal punto di vista dell'unione europea, il pericolo principale è la svalutazione della moneta cinese, che metterà la Germania a rischio, in quando essa ha un surplus commerciale di 14 miliardi verso la Cina, ed a moneta svalutata le importazioni cinesi dalla Germania diminuiranno, facendo diminuire le entrate di capitale in Germania. Dall'altra parte, una moneta cinese debole, favorirà ancora di più le importazioni degli altri Stati dalla Cina.

Non so voi, ma io mi preoccuperei molto di più della situazione cinese, da un punto di vista finanziario. Stiamo parlando di una nazione che detiene esclusivamente in valuta estera sommata, un valore pari a 4 trilioni di Dollari! La paura che si verifichi nuovamente un contagio come accadde dopo la crisi dei mutui subprime americani mi spaventa non poco, dato che purtroppo dopo quel dissesto finanziario noi non siamo ancora riusciti a risollevarci (a parte le favole dei governi di turno).

Alla prossima.


mercoledì 8 luglio 2015

LA MIA PREVISIONE SULLO SCONTRO GRECIA VS CREDITORI: A QUESTE CONDIZIONI LA GRECIA USCIRA'.

Salve gentili lettori.

In questo articolo vorrei trattare nuovamente due temi che sono stati, sono e saranno di cruciale importanza. In caso voi abbiate letto il mio blog nelle ultime settimane, avrete sicuramente seguito il mio punto di vista sull'evoluzione della situazione greca all'interno dell'Unione Europea ed all'interno dell'Eurozona. 

Il referendum di domenica scorsa ha portato con se una certezza: il popolo greco ha ripudiato la possibilità di accollarsi nuove misure d'austerità tali da "risollevare" le sorti socio-economiche del proprio paese. 
Una scelta che condivido, perché ragionando in modo razionale non si può sperare che un piano economico aventi le stesse caratteristiche dei fallimentari piani precedenti, possa portare ad un risultato positivo. La Grecia è la nazione europea che risulta essere più avanti nelle cosiddette "riforme strutturali" europee aventi come denominatore comune l'austerità. Un sì al referendum avrebbe portato ad un nuovo piano d'austerità ancor più pesante di quelli perseguiti dal 2009 ad oggi. Si parlava di un innalzamento dell'età pensionabile a 67 anni, di un piano di privatizzazioni selvagge, di un innalzamento dell'aliquota IVA (già precedentemente toccata al rialzo), di un annullamento degli aiuti fiscali alle isole greche ed anche di un ancor più duro piano di deregolamentazione del mercato del lavoro.
Misure al limite dell'umano, per un popolo che già oggi è messo in grandissima difficoltà di tenuta.

Tsipras, con grande coraggio e spirito democratico, ha dato al suo popolo la possibilità di scegliere una determinata strada, alla quale lui si sarebbe accodato. E' vero, lui ha spinto verso il NO, ma dall'altra parte il terrorismo informativo proveniente dall'informazione generalizzata mi aveva fatto temere che le sorti del referendum fossero destinate verso un SI', simbolo della paura e della sicurezza del mantenimento di uno status quo, ormai esclusivamente di facciata.
Fortunatamente mi ero sbagliato, perché il popolo greco ha scelto l'orgoglio e la coesione sociale, attraverso una strada molto coraggiosa e di difficile interpretazione nel medio periodo. Il popolo della democrazia, ha offerto un grande esempio a tutti i popoli della periferia dell'unione monetaria, nella speranza di risollevare uno spirito di rinascita, indubbiamente complicata ma praticabile.

Credo che in questo articolo io debba provare a dire la mia, illustrandovi le possibilità che ritengo si possano aprire e soprattutto, spiegandovi la mia personale idea su quale di queste strade verrà imboccata.

Ipotesi n. 1 - LA GRECIA RIMANE DENTRO L'EURO.

Questa ipotesi è una delle più percorribili dal punto di vista intuitivo. Prima di tutto, come molti giuristi hanno ricordato in questi anni, NON ESISTE UN METODO DI USCITA UNILATERALE DALL'EURO. E' vero, nel Trattato di Lisbona (che io chiamo Costituzione Europea sotto forma di trattato), è prevista l'uscita di uno Stato dell'Unione dall'Unione Europea, ma l'uscita da essa non significherebbe automaticamente l'uscita dello Stato dall'Euro. In caso la Grecia riuscisse a trovare un accordo con i creditori riuscendo a rimanere nell'Euro, avrebbe nuova liquidità per 80 miliardi di Euro circa, che le permetterebbe prima di tutto di saldare il debito di 1,6 miliardi scaduto da una settimana (anche se il FMI da regolamento permette una dilazione di pagamento di massimo un mese rispetto alla scadenza stessa). Rimanendo dentro questo sistema la Grecia non farebbe altro che continuare in quel percorso di autodistruzione tale da chiedere nuovi crediti per coprire debiti pregressi. La crisi greca non avrebbe una fine.

Ipotesi n. 2 - LA GRECIA ESCE DALL'EURO.

Questa è un'opzione che nessuno ha mai praticato, che porterebbe all'esplorazione di una situazione mai capitata prima dall'inizio dell'unione monetaria nel 1999. Come vi ho spiegato prima, non esiste da trattato un metodo unilaterale per uscire dall'Euro. Approfondiremo tra poco.
Uscendo dall'Euro, per la Grecia si aprirebbero le porte di un ritorno alla piena sovranità monetaria, attraverso la stampa della "nuova Dracma", che presumibilmente andrà a svalutarsi pesantemente sull'Euro. Purtroppo, per uno Stato come la Grecia, non avente un settore export corazzato i benefici della svalutazione della Dracma, e quindi del recupero di competitività delle sue merci, non darebbe grossissimi vantaggi. La Grecia importa moltissimo e la svalutazione si ripercuoterebbe sui costi dell'import.
A condire questa situazione, ci sono gli studi derivanti dalle ripercussioni nel medio periodo dell'inflazione successiva ad una svalutazione. Qui c'è da fare una premessa: l'inflazione teoricamente dovrebbe salire a distanza di un anno dalla svalutazione pesante, ma la sua portata varia in base alla forza economica dello Stato. Mi spiego meglio. Lo studio su cui si basa questa realtà ha fatto notare che per i paesi industrializzati, dopo una svalutazione, l'inflazione a distanza di un anno si presenta in termini limitati (addirittura dopo la svalutazione post uscita dallo SME del 1992, l'Italia vide la sua inflazione scendere dal 5% al 4%), mentre per i paesi non industrializzati l'inflazione si presenta in modo assai più massiccio. Sinceramente alle condizioni attuali non saprei dove collocare la Grecia in una scala immaginaria di "industrializzazione".
Un altro tema assai importante sono i debiti. Purtroppo, a differenza dell'Italia, la possibile uscita della Grecia si complica ancora di più perché la grandissima parte dei suoi debiti esce dalla legislazione nazionale, inibendo la possibilità di applicare la LEX MONETAE.
Ciò significa che una volta uscita dall'Euro, la Grecia dovrà pagare i suoi debiti non in moneta corrente (nuova Dracma svalutata), ma in Euro. Un'ulteriore difficoltà.

Ipotesi n. 3 - LA GRECIA ESCE DALL'EURO E SI APPOGGIA ALLA RUSSIA.

Questa è l'ipotesi che ritengo più vantaggiosa per il futuro socio-economico della Grecia. Lo sappiamo tutti che, fatte le rispettive analisi sia sulla permanenza nell'Euro, e sia sul ritorno alla Dracma, la Grecia non abbia molte speranze. Tuttavia, ritengo plausibile un'uscita dall'Euro ed un accordo economico con basi geopolitiche forti che vada ad unire il popolo ellenico alla Russia ed alla Cina. E' indubbio che la posizione geografia della Grecia è di un'importanza estrema, controllare i porti della Grecia significherebbe controllare il Mediterraneo.
Questo lo sa Tsipras, lo sa l'UE, ma soprattutto lo sanno Obama e Putin.
Questa è una soluzione che auspicavo da giorni per la Grecia, già la settimana precedente al referendum, e finalmente oggi ho avuto qualche riscontro: TSIPRAS TRATTA CON MOSCA. Fonte: Il Fatto Quotidiano.
A dare questa notizia è stato Iuri Ushakov, consigliere diplomatico di Putin. Il piano B (ma neppure troppo), prende forma.
Chiaramente, questo accordo dovrà avere basi importanti che passeranno sicuramente dall'abbandono della NATO da parte della Grecia, e dal controllo di alcuni porti strategici nel Mediterraneo da parte della Russia. Trovate queste premesse, ecco che si potrà pensare al finanziamento da parte della nuova banca dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), della ripresa della Grecia dal punto di vista economico, con scenari chiari d'ingresso nel sistema.



Stiamo però arrivando ad una svolta, per il semplice fatto che la B.C.E. aveva fornito alla Grecia circa 90 miliardi di liquidità d'emergenza, che nonostante il limite di prelievo giornaliero imposto ad un massimo di 60 Euro, stanno terminando. Ormai siamo agli sgoccioli, non c'è più liquidità, ed a quanto abbiamo potuto capire in queste ultime ore la B.C.E. non parrebbe intenzionata a fornire nuova liquidità agli istituti greci.
Il ministro dell'economia tedesco Schauble, ha gelato Tsipras ricordando che trattati alla mano, non è possibile la ristrutturazione (il taglio) del debito greco pregresso. 
La Merkel negando a Tsipras qualsiasi trattativa, ma questo braccio di ferro ha chiaramente il fine di un invito al rilancio. Tsipras sarà costretto a presentare immediatamente un piano credibile che non si discosti troppo dal piano lacrime e sangue bocciato nel referendum di domenica scorsa. 
Il popolo ha dato la sua risposta... . Se la risposta verrà ascoltata, il piano che Tsipras presenterà dovrà puntare alla crescita, e quindi non potrà basarsi sull'austerità. Di conseguenza esso verrà bocciato dai creditori.
Senza liquidità a disposizione, per gli istituti di credito ellenici si presenterà l'obbligo di procedere al prelievo forzoso dai conti correnti dei clienti. 
Ps. Il bail-in entrerà in vigore in Italia dal 1° gennaio 2016, occhio.

Infine la mia previsione: credo che la permanenza della Grecia nell'Euro sia, date queste premesse, all'epilogo. Se sarà coerente con l'esito del referendum non potrà che uscire.
Dalle premesse sommate di Schauble, Merkel e B.C.E., la decisione sulle sorti della Grecia sono ad un bivio ormai prossimo. Prevarrà la paura di una svolta geopolitica della Grecia verso la Russia o l'educazione austera ed intransigente tedesca? Educarne uno per educarne 100? Non credo sia una strada vantaggiosa per la Germania, ma alla fine penso che la Grecia uscirà e troverà un accordo con la Russia, che le permetterà di essere supportata in un periodo che si preannuncia duro, ma finalmente sensato e con una prospettiva di futuro .

Valutazione finale: se la Merkel, la B.C.E. e Tsipras saranno coerenti con ciò che hanno sostenuto in queste ultime ore, l'accordo non si troverà, e la mancanza di liquidità costringerà la Grecia ad uscire. Obama è alla finestra però, ricordatevelo. Potrebbe metterci una manina lui e girare la frittata all'ultimo.

Alla prossima.



lunedì 6 luglio 2015

REFERENDUM GRECIA - NETTA VITTORIA PER IL NO ALL'AUSTERITY. QUALI POTREBBERO ESSERE GLI SCENARI FUTURI?

Salve gentili lettori.

L'articolo odierno non poteva che essere dedicato alla vittoria del NO nel referendum greco di ieri. Un risultato che mi rende felice, perché era quello che auspicavo potesse accadere, ma che non mi fa saltare di gioia dal punto di vista realistico, rispetto alla situazione economica della Grecia.
Comunque fosse andata sarebbe stata una vittoria della democrazia diretta applicata a tematiche controllate dai creditori della Grecia, e questo è già un passo avanti gigantesco.
Ringrazio il popolo greco per il coraggio mostrato, e spero che questo messaggio sia arrivato anche in Italia, dove troppo spesso ci mostriamo incollati allo status quo, senza avere una visione di società d'insieme.

La vittoria nel NO è stata netta, perché superiore al 60%. Questo è un dato molto importante, perché il terrorismo informativo applicato in questi giorni precedenti al referendum mi avevano fatto temere che prevalesse la paura sul coraggio di mostrare resistenza ed orgoglio.

Ora vorrei analizzare il futuro che si prospetterà, secondo me, per il popolo greco.


Sinceramente credo che da ieri ad oggi sia cambiato poco dal punto di vista sostanziale, per il semplicissimo motivo che sia prima e sia dopo il referendum si proverà a trovare un accordo tra le parti. Non so come Tsipras possa pensare di riuscire a strappare condizioni che non applichino nuova austerità, continuando a trattare con gli stessi creditori che hanno sbattuto ripetutamente in faccia la porta al popolo greco in questi mesi. Evidentemente, come ha detto Tsipras, un NO al referendum darà alla Grecia più potere contrattuale nel concordato, ma il peso rimarrà limitato.
Qualora venisse trovato un accordo su basi leggermente migliori, la Grecia potrà rifiatare con altri crediti per 7,2 miliardi, che tapperanno i buchi precedenti, per poi aprire una nuova falla nel giro di qualche mese, rischiando di essere punto a capo, ma con problematiche ancora maggiori a cui far fronte.


La situazione greca è davvero complicata, sia in caso di uscita dall'Euro e sia in caso di permanenza. Mi piacerebbe pensarla in modo differente, ma non ci riesco. Ora andrò nel dettaglio delle opzioni.

In caso di permanenza nell'Euro, Tsipras dovrà scendere a condizioni ristrette con i creditori, applicando altra austerità anche se in forma minore dato che il risultato del referendum avrà inevitabilmente un suo impatto. Ricordiamoci che la Grecia è la cavia dell'austerità, in quanto è la nazione che risulta essere più avanti con le riforme strutturali imposte dall'UE ai paesi in crisi. Però ricordiamoci che i greci hanno rifiutato totalmente l'austerità con questo voto, e Tsipras è obbligato a perseguire il volere democraticamente espresso dal popolo greco. Le condizioni uscite fuori nell'ultimo tentativo di concordato erano massacranti, ma non credo che si riesca a ottenere un cambiamento sostanziale con una ristrutturazione del debito, anche perché a restare con il cerino in mano sarebbe soprattutto la Germania. Ed essa non si piegherà.
L'applicazione di una riforma stile Fornero, una nuova ed ancora più cruenta precarizzazione del mercato del lavoro, la privatizzazione selvaggia dei servizi, l'aumento dell'IVA a livelli massacranti sono condizioni che si ripresenteranno al nuovo tavolo. Starà a Tsipras mostrare coerenza e rifiutare nel caso in cui non dovesse riuscire ad ottenere una ristrutturazione del debito
Restando nell'Euro la Grecia si dovrà preparare a nuova austerità, per ottenere nuovi fondi tali da permettere la copertura di vecchi debiti, in un processo a spirale che continuerà a farla avvitare su se stessa.
Che questo sia un comportamento tale da voler far uscire la Grecia dall'Euro senza aver il timore di un accordo con la Russia lo vedo difficile. Il problema è geopolitico e l'UE e gli USA non credo siano così poco fantasiosi. Educarne uno per educarne 100..., ripeto non è la strada che secondo me seguirà l'UE con la Grecia.

Anche in caso di uscita dall'Euro non c'è grande speranza. 
La Grecia, al contrario dell'Italia, importa quasi tutto e non ha un export massiccio. Questo comporterà, in caso di uscita dall'Euro e svalutazione della nuova Dracma, pochissimi vantaggi dal punto di vista del recupero di competitività delle proprie merci e dei propri servizi (fatta eccezione per il turismo). Dall'altra parte, importare in Dracme diventerà più oneroso.
Altro aspetto fondamentale, è la questione del debito. Non so se, in caso di uscita il default sarà totale o parziale; nel caso in cui fosse parziale, dobbiamo ricordarci che i debiti della Grecia sono per lo più di carattere sovranazionale, e quindi escono dalla legislazione nazione impedendo l'applicazione della LEX MONETAE. Ciò significherebbe dover pagare in Euro i debiti pregressi, e non in Dracme svalutate.
Nel caso in cui il default dovesse essere totale, credo che l'UE per proteggersi applicherà delle sanzioni alla Grecia, esattamente come fatto con la Russia, pur infliggendosi un danno economico e finanziario pesante.

Lo ripeto da giorni, l'unica strada per la Grecia è la seguente: risolvere questa problematica dal punto di vista geopolitico. La sua posizione geografica è invidiabile, e quindi automaticamente è assai appetitoso un accordo con la Grecia stretto dalle potenze Russia e Cina. Esse potrebbero finanziare la ripresa greca in cambio dell'uscita della Grecia dalla NATO ed in cambio del controllo di alcuni porti strategici sul mediterraneo.

Questa è l'unica strada che vedo per risollevare il coraggiosissimo ed orgoglioso popolo greco.

La notizia a sorpresa sono state le dimissioni del ministro delle finanze greche Yanis Varoufakis, che per sostenere Tsipras nella sua battaglia si è fatto da parte, in quanto egli crede di essere un ostacolo verso un accordo vantaggioso per la Grecia perché non simpatico ai creditori.

NON ESISTE EURO SENZA AUSTERITA', E' UN DATO DI FATTO.

Alla prossima.




giovedì 2 luglio 2015

REFERENDUM GRECIA - SECONDO ME SONO CAMBIATE LE PROSPETTIVE DEL NO.

Salve gentili lettori.

Vorrei parlarvi brevemente del referendum greco che si terrà il 5 luglio prossimo, ma purtroppo il mio punto di vista dopo i fatti di ieri si è ribaltato. Non ho più la fiducia che riponevo su questo referendum 24 ore fa, perché il NO, a mio modesto parere, ha perso della sua incisività.

Buona lettura.

Pare che ieri non sia cambiato nulla, dato che l'accordo all'Eurogruppo non è stato chiuso, ma in realtà sono cambiati tutti i presupposti che reggevano questo referendum.
Tsipras nella prima lettera aveva posto un interrogativo molto chiaro ai propri connazionali: volete altra austerità, sì o no? Ora il no ha cambiato il suo significato iniziale, passando da "no, non vogliamo altra austerità" ad un più soft "votando no avremo un potere contrattuale migliore, per limitare i danni che comunque vada, si verificheranno".
Ho colto questo significato nelle ultime dichiarazioni di Tsipras, che ha continuato a spingere i greci verso il no per "avere più potere contrattuale".
Sono completamente cambiati i presupposti! Nel discorso di pochi giorni fa, il premier Tsipras aveva detto:

"Cittadini greci,
Negli ultimi sei mesi, il governo greco ha condotto una battaglia in condizioni di asfissia economica senza precedenti, al fine di attuare il mandato che gli avete dato il 25 gennaio.

Il mandato di negoziare con i nostri partner per realizzare la fine dell'austerità, e per riportare ancora una volta la prosperità e la giustizia sociale nel nostro Paese.

Si parlava di un accordo che mettesse fine al cappio dell'austerità per il popolo greco, non di un accordo che limitasse i danni ulteriori che si verificheranno a breve. I presupposti sono cambiati tantissimo.

La mia speranza che si reggeva su questo referendum era quella di un governo greco che avesse finalmente chiuso le contrattazioni con la Troika senza trovare nessun accordo perché ormai pronto a mettere in atto il piano B, preparato in questi mesi di governo Tsipras. Speravo che le continue contrattazioni fossero semplicemente un modo per completare la costruzione di un'alternativa differente all'austerità europea come metodo autoritario di governo. Tutto portava ad aprire questo scenario: i contatti di questi mesi con la Russia, la chiusura delle banche per 7 giorni, il referendum con Tsipras che spingeva seccamente verso un NO.
La Grecia ha una posizione geopolitica di un'importanza incredibile, e questo lo sanno sia i russi, sia gli USA, sia l'UE e chiaramente anche gli stessi greci. Per questo non mi sembrava impossibile un accordo con superpotenze come Cina e Russia, che in cambio dell'uscita della Grecia dalla NATO e del controllo di qualche porto strategico, la rialzassero dal punto di vista economico con un piano di emergenza.

Mi fanno ancora sperare le dichiarazioni di Varoufakis, molto secche: << Se vince il sì, mi dimetto >>. E purtroppo questo scenario che chiuderebbe completamente le porte a qualsiasi scenario anti-austerity, parrebbe essere quello più gettonato dai sondaggi. I greci hanno paura di un no, perché molte persone vedrebbero un rischio in una strada inesplorata.
Ed intanto la Merkel gongola...

Un passo avanti democratico è stato fatto con questo referendum, ma non è abbastanza, semplicemente per il fatto che sono cambiati i presupposti che avevano spaventato l'UE e gli USA sull'esito dello stesso. Il NO, per qualche ora, ha fatto davvero tremare.

Alla prossima.